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  • Norino Cani

LA «ROMANDIOLA» EI MOTI RIVOLUZIONARI DEL 1831 - 1832

I moti del 1831 furono la naturale conseguenza della congiuntura politica europea e della pesante crisi economica in cui versava lo Stato Pontificio. Tutti conosciamo, almeno per grandi linee, gli avvenimenti politici di quegli anni, purtroppo il riverberarsi nelle Romagne di quel tormentato periodo che investì Francia, Polonia, Belgio e Irlanda, non ha ricevuto grande attenzione dagli storici locali (1). Possediamo, pertanto, una storiografia inesistente alla quale anche una ponderosa pubblicazione (2) di un quarto di secolo fa non ha portato alcun contributo di rilievo. Dopo la caduta del napoleonico Regno Italico, nell’aprile 1814, la conseguente e ineluttabile crisi mondiale favorì cospirazioni e sommosse popolari, cui si associò la carestia del 1816 e 1817 che, per gli abitanti della Romandiola, fu un evento drammatico. Progetti insurrezionali per rovesciare i governi autoritari furono organizzati un po’ dovunque in tutta Italia, famosi quelli carbonari del 1820-21, cui fece seguito la repressione del cardinale Rivarola nel 1825. In quel caso si trattò di una sollevazione a livello nazionale, ma limitata ai ceti più abbienti (3), che a Lugo e nella Bassa Romagnola rimase “sotto traccia”. Agostino Poggiali la annota superficialmente citando gli arresti di cospiratori e il passaggio di truppe austriache destinate al controllo dell’ordine pubblico nelle Legazioni (4). Dieci anni dopo questi fatti il malcontento popolare sfociò in una nuova e più vasta ribellione nell’Emilia, Romagna e Marche (5).

Francesco Rangone così descrive la situazione all’inizio della sua dettagliata cronaca sui fatti del 1831:

Niuna legge, o variabile, niuna amministrazione, o rovinosa; malafede dei contratti; n iuna individuale sicurezza; arenamento del commercio e delle scienze; niuna stabilità del giudiziario o indolenza sospetta e perciò il delitto impunito; polizia mal servita e perciò omicidi, aggressioni furti e feriti e brutalità senza numero e di giorno e di notte. Le finanze rigorose ed eccessive; dazi arbitrari e insopportabili, ad onta di esser stati esibiti migliori consigli, e perciò contrabbandi, uccisioni e vendette private. Amministrazioni in generale, acque, strade, annona, spedali, tutto in confusione ed alcune producenti individuali animosità [...] Ecco compendiato il quadro che presenta lo Stato Pontificio nella sua universale gestione (6).

Il moto abortito a Modena nella notte tra il 3 e il 4 febbraio si diffonde ugualmente e in modo incruento; il 4 febbraio a Bologna (7) si verificano disordini e il pro-legato Paracciani Clarelli notifica alla popolazione l’istituzione di una Commissione provvisoria di governo e di una Guardia provinciale in attesa di superiori disposizioni da Roma. La mancanza di risolutezza dimostrata dal governo pontificio, in quelle ore cruciali nonostante il capillare controllo di polizia, aggravò la crisi politica e portò al dilagare del moto rivoluzionario. La situazione precipita e la mattina del 5 febbraio 1831 Bologna inalbera il tricolore mentre il pro-legato abbandona la città (8), gli insorti non incontrano alcuna resistenza da parte dell’autorità costituita e anche le truppe austriache di stanza a Ferrara e Comacchio non si muovono in aiuto del Governo Pontificio. Fidando nel principio del non intervento (9) il Governo Provvisorio di Bologna si affrettò a ribadire che:

Nel rivendicare la propria libertà Bologna intese unicamente a riconquistare quel sommo de’ beni che da lungo tempo aveva perduto di fatto, benché non mai di diritto. Però costituita appena in istato libero e indipendente stima essere suo debito notificare a confinanti degli Esteri Stati ch’essa intende conservare con tutti la antiche relazioni d’amicizia, e che non permetterà che sia in alcun modo violato il Territorio stesso. Con questo suo intendimento Ella reciprocamente crede, che altri non s’avviserà ad intervenire negli interni suoi affari. Questo sappiano Cittadini e Stranieri. La bandiera tricolore non isventolerà per noi sul Campo delle battaglie che nel solo caso, in cui si tratti difendere e mantener libero il suolo sacro della patria (10).

Immediatamente venne costituita una Guardia sedentaria e mobile, per la pubblica sicurezza della popolazione, e anche Lugo, il giorno seguente, seguì quegli eventi:

Nella notte delli 6. Febbraro scopiò anche in Lugo la Ribellione contro il Governo Pontificio accaduta negli Stati Estensi, Bologna, Romagna, Marche che in un lampo si estese fino agli stati Romani, le di cui conseguenze sono ben note a tutti. (11)

Tra i giovani lughesi si mise in luce, fin dagli inizi del moto, anche il giovane avvocato Federico Pescantini (12) che, il 7 febbraio, iniziava la sua lunga carriera di patriota arringando il pubblico nel Teatro Comunale di Bologna:

[...] alzatosi il sipario, il palcoscenico fu in buon ordine occupato da circa duecento Guardie Nazionali della migliore gioventù, preceduti dal ricolorato vessillo, e che presentavano tra Compagnie, insieme unite, di Romagnoli, Ferraresi e Bolognesi. Il Sig. Federico Pescantini, fattosi avanti ad ognuno, recitò un veemente discorso sui pregi della libertà ed onore del nome italiano e l’abbassamento di ogni altro dispotico governo. Fu questi interrotto da giudiziose sospensioni, e dal generale applauso di ogni buon italiano. [...] Il Dott. Pescantini non omise nell’infocato suo ragionamento di plaudire all’unione delle tre Provincie, e con affettuoso bacio dato al portastendardo intese passarlo ad un tempo ad ogni individuo, siccome ciascuno nel suo particolare ne facesse altrettanto. [...] (13).

Dopo che Bologna, l’8 febbraio, aveva decretato che «il Dominio Temporale che il Romano Pontefice esercitava sopra questa Città e Provincia è cessato di fatto e per sempre di diritto» (14), in tutte le città sollevatesi veniva alzata la bandiera tricolore e contemporaneamente si ordinava a tutti i cittadini, escluso gli stranieri, di portare sul cappello, e ben visibile, la coccarda dei medesimi colori; chiunque si fosse rifiutato sarebbe incorso nell’arresto e traduzione in carcere. I carabinieri pontifici vennero dimessi dalle loro funzioni e inviati a Ferrara (15) mentre il controllo del territorio, messo in opera sin dai primi momenti con una impensabile velocità di circolazione delle idee - sbalorditiva se rapportata alla realtà odierna - veniva assunto dalla Guardia Civica (16).

Se la contesa politica tra liberali e papalini si faceva sempre più rovente, non mancarono i dissapori anche tra gli stessi rivoluzionari: un alterco violento avvenne il 15 febbraio tra il tenente della Guardia Civica Gallo Morandi (17) e Pietro Manzoni (18), al punto che il Morandi si dimise dall’incarico e al suo posto venne eletto il giovane Borea (19). Nel contempo le squadre dei rivoluzionari correvano la città e la campagna:

[...] I rei [liberali ndr] di Città non sommano a 150; la loro Guardia incute terrore. Le Insegne e Stemme Pontificie furono cacciate a terra il mattino del 6 andante. [...] La notte passata si sono spinti a cavallo fino alla Bruciata e quivi si sono incontrati coi Capi della Conselice. Nel ritorno hanno scaricato tutte le loro armi prima alla Ca’ di Lugo mentre urlavano, quei perfidi, viva la libertà, morte al Papa (20), viva l’Unione, poi in città a Brozzi contro porte e finestre di fedeli sudditi del Papa arrecando grande paura (21).

La situazione andava evolvendosi velocemente e iniziavano le consultazioni fra le città insorte per dare un governo repubblicano e democratico alle popolazioni delle Legazioni di Romagna. Da Imola Costante Ferrari (22), comandante in capo della Guardia Nazionale e membro del Comitato Provvisorio di Governo, comunicava ai patrioti lughesi che:

[...] tutte le città della Romagna hanno spedito a Bologna il loro deputato con apposita credenziale onde aderire ad un comitato centrale per tutte le città della Romagna, e trattarvi gl’interessi per il bene della causa. Quindi è che vi prevengo se foste di parere voi pure di fare adderire alla comissione della città per la scelta di questo individuo da spedirsi colà, che necessita, lo facciate alla massima sollecitudine, perché dentro domani tutti questi deputati saranno al lor posto, e si apriranno le sedute. [...] (23).

La Bassa Romagna rispose prontamente all’appello e tutte le comunità inviarono i loro delegati. L’assemblea si radunò con non pochi problemi organizzativi e rappresentativi non essendo ancora avvenuta la fusione tra i Comitati di Governo Provvisorio di Bologna e Ferrara, capoluoghi di Legazione, fusione osteggiata da parte di Bologna che «ha respinto le offerte di que’ Paesi, che stacandosi da altre Provincie dimandavano di essere congiunti ad essa. [...] Le attuali distrettuazioni o non piaciono, o non sono convenienti agli interessi locali» (24). I campanilismi, sin dalla nascita della Repubblica Cispadana, furono, per tutto il risorgimento italiano, un elemento che più di una volta fece naufragare i progetti unitari. Già l’11 febbraio 1831 una schiera di volontari, a conferma della rapidità con cui viaggiavano le notizie, era partita alla volta di Faenza (25) per raggiungere Ancona, come scrive il comandante della piazza di Lugo Rossi al Governatore di Lugo:

Cittadino Governatore, la partenza improvisa, ed imprevista di una quantità di Cittadini alla volta di Faenza avvenutasi ier sera circa le due della notte (26) avente dissero lo scopo di portare soccorso all’assedianti la fortezza d’Ancona che ostinata rifiuta dicesi di arrendersi al voto comune, alla Santità della causa, ha fatto sì che in quel momento di trambusto, e di confusione i Cittadini dassero di piglio a quelle armi, che prime loro si presentarono. Fatto questa mattina riflesso alla situazione in cui ci troviamo non avere questa nostra guardia di sicurezza a sua disposizione. Vedete quindi, o Cittadino Governatore che come per una parte è lodevolissimo la spirito dell’intrapresa spedizione a perorare, e diffendere la causa comune, altrettanto è successario indispensabile il procurare il prontissimo provedimento della maggiore quantità possibile di Fucili, onde porre in istato questi nostri Cittadini, e di diffendere la propria Città dalle trame dei pochi malvaggi [...] (27).

Il seguente 12 febbraio, sempre Alessandro Rossi, dava notizia «che Comacchio ha scosso il giogo, ed i Tedeschi si sono ritirati in Fortezza (28). Che da Bagnacavallo pure partirono trenta individui per la spedizione della Marca» nel mentre che le truppe al comando del colonnello Sercognani (29), chiamato dal Governo Provvisorio di Pesaro a comandare la Guardia Nazionale prendeva il castello di San Leo liberando i detenuti politici là rinchiusi, dirigendosi poi su Ancona (30).


Illuminante la corrispondenza del capo battaglione Pietro Manzieri (31), comandante della colonna lughese, che inviò, in quei giorni, diverse missive alla Commissione Comunale di Lugo:

Signori, dopo cinque giorni di marcia ci troviamo in Pesaro d’onde il 17 proseguiremo per Ancona. Meritano elogio particolare la buona condotta e la moderazione del distaccamento lughese, che obbediente, e disciplinato si va esercitando agli esercizi della militare carriera. Corrispondendo opportunamente a questo vantaggio per disposizioni prego voi o Signori, a spedire con prontezza le lettere di nomina di tutti i graduati che sono in attività di servizio, dovendosi organizzare in Ancona i Battaglioni mobili. Raccomando particolarmente le famiglie di que’ volontarj che per la loro assenza si trovano in bisogno, onde loro non manchi per parte del Comune il necessario sostentamento, finchè compiute le nostre incombenze per la difesa della libertà e dell’onor Nazionale ritorniamo in seno di quella Patria che ci ha spedito a gareggiare di valore e di zelo per la causa pubblica colle altre città dell’Emilia. [...]. Pesaro 15 febbrajo 1831 (32).

Il successivo 17 febbraio, secondo programma, la truppa si accampa sotto le mura di Ancona: Signori, siamo giunti finalmente sotto le mura d’Ancona, ma disgraziatamente o fortunatamente sena sbarare un sol colpo di fucile. Dal canto nostro non abbiamo avuto che un Dragone ferito, e varij cavalli. Alle tre pomeridiane la Fortezza ha capitolato [...] Fra tre giorni partiremo per la Capitale, [...] tutti i nostri sono in perfetta salute, e non abbiamo lasciato nessun individuo in adietro. [...]. Dal campo sotto le mura d’Ancona li 17 febbraio 1831 (33).

La marcia continua, ma cominciano a registrarsi le prime defezioni tra i volontari:

Signori. Varii individui componenti li distaccamenti di Lugo, S. Agata, e Fusignano che hanno seguito il sacro vessillo della libertà desiderosi per giusti motivi di ritornare in patria non per viltà, li accompagno con questa mia ai differenti comitati che la loro condotta è stata esemplare, gran patriottismo obbedienza alle leggi, ed infine buoni cittadini; [...] Il distaccamento che rientra è armato, quali armi saranno ritirate dai differenti municipj, ai quali medesimi appartengono, meno il sergente Guadagnini (34), che rientra armato del proprio. Loreto 20 febraro 1831. Il Comandante la colonna d’avanguardia Pietro Manzieri Cap.o Batt[aglione] (35).

I momenti sono convulsi, anche il traffico postale ha i suoi problemi e la corrispondenza non aveva certo un regolare corso, Pietro Manzieri, a torto, si lamenta del silenzio del Comitato Provvisorio di Governo di Lugo, ma del resto tra l’invio della prima lettera del 15 febbraio al 24 sono passati solo 9 giorni e intanto le truppe hanno già lasciato Ancona e sono in marcia verso Roma.

Al Comitato Municipale di Lugo. Foligno 24 febrajo 1831. Sorpreso al sommo io non vedeva per anco giunte al quartier generale le nomine di quei prodi officiali della Guardia Nazionale di Lugo, che servono come volontarj in cavalleria, e chi nell’infanteria, dei quali le trascrivo i nomi, cioè capitano Pietro Manzoni, tenente Luigi Zaccari (36), tenente Agostino Morandi (37), sotto-tenente Antonio Melandri (38), e Claudio Bertazzoli (39), quali pronti a versare il loro sangue per la sacra causa della libertà ed indipendenza sono al minimo di tutti gli altri della nostra Eroica Romagna. [...] Solo io sono che fra tanti Comandanti i varj distaccamenti non abbia ricevuto dai loro Comitati Municipali una sol lettera. Sono essi figli di Lugo quelli dei primi che faranno [illeggibile] al Campidoglio, o sono bastardi? Sono molto rammaricati tutti i Lughesi e me stesso in non aver avuto due righe di lor signori [...]. Pietro Manzieri (40).

Tutta la Romagna è in fermento, gruppi di volontari partono verso Rimini per raggiungere il generale Sercognani e la sua Vanguardia dell’Armata Nazionale. Anche da Imola si muove, in ritardo, una colonna di patrioti alla volta delle Marche, alla sua testa c’è il colonnello Costante Ferrari, comandante la Guardia Cittadina, che avvisa il comandante d’armi in Lugo del suo passaggio per la via Emilia diretto a Faenza dove attenderà i volontari che volessero unirsi alla sua colonna (41). Il piccolo esercito degli insorti, composto da circa 3.000 uomini e da una batteria di artiglieria, dopo aver preso le fortezze di Ancona e San Leo, continuò la marcia in direzione della città eterna, favorito dalla sollevazione di Loreto, Recanati, Macerata, Tolentino e Fermo (42). A Lugo la situazione si era mantenuta abbastanza calma: alcuni casi di contestazione verso il nuovo governo, ad opera della reazione sanfedista, si verificarono tra il 27 e il 28 febbraio con l’affissione di alcuni volantini sediziosi contro i componenti la commissione provvisoria di governo, mentre il 5 marzo successivo si sentì in piazza lo sparo di alcune castagnole da parte di partigiani pontifici (43). Del resto anche in altre città romagnole la tensione politica era alta, il 1 marzo:

A Forlì un tristissimo uomo, decorato di ventisette delitti capitali, trovandosi ad un bettolino insultò vari soldati di Linea, loro dicendo che dimettessero la coccarda od egli stesso gliel’avrebbe fatta deporre. Quei buoni novizzi del nazionale sommovimento si tacquero, seppellendo nel vino così umile mortificazione. Usciti dal bettolino proseguì l’ardito oratore ad insultarli, allorchè gli arrivò una così detta trombonata, che lo scavezzò per mezzo gettandolo a terra, ove dopo tre ore dimise del tutto ogni sinistro pensiero. Inutilmente si cercò dell’omicida (44).

La commissione del governo provvisorio della città e della provincia di Ferrara, frattanto, si premuniva di notificare alle comuni dell’ex Legazione l’istituzione di un battaglione di fanteria di linea (45) destinato a coprire il fronte del Po dal quale poteva provenire la minaccia delle truppe austriache di rinforzo, a quelle in fortezza, provenienti nel Lombardo-Veneto (46). Contemporaneamente a Bologna, il 4 marzo, l’Assemblea dei deputati delle Provincie Unite Italiane (47) proclamava «il provvisorio Statuto Costituzionale dello Stato ed i nomi di coloro che ne assumono il Reggimento» (48). Il 5 marzo Pietro Manzieri così scriveva dagli avamposti di Otricoli al Comitato Municipale di Lugo:

Signori. Eccoci alfine in faccia all’inimico, ed i lughesi ne sono stai dei primi a giungervi, giacche come le dissi ho sempre comandato l’avanguardia. Ho fatto ostensibili in un ordine del giorno al Distaccamento delle due preg.me loro, e tanto me quanto l’intero distaccamento gliene rendiamo li dovuti ringraziamenti. Domani spero misurarmi coi vili schiavi di Roma, ma inutilmente farsi l’attacarli giacche fuggono sempre ma se posso invilupparli non ne fugirà uno. Domenico Loli (49) Ten.te trovasi costì egli ben merita della Patria lo raccomando caldamente a bontà delle LL Sig.e I.me. [...] Al momento che scrivo quelli volontarj di Forlimpopoli hanno fatto prigionieri di guerra, ed una ventina di morti noi non contiamo neppure un ferito. (50)
Nel frattempo, il 6 marzo, la guarnigione austriaca stazionata a Ferrara prendeva possesso della città e veniva istituita una reggenza al posto del Governo Provvisorio rompendo in tale modo il non intervento negli affari interni dello Stato Pontificio. [...] la truppa tedesca occupa militarmente la piazza di Ferrara [...]. Nulla è detto quanto all’amministrativo, né poteva quel Generale accordare che si cambiasse governo [...]. Cento ha ceduto in forza di una lettera, ma si è ricusato Lugo ed altri luoghi hanno fatto lo stesso [...]. Il presidente del Provvisorio Governo ha tosto nominato il Prefetto per Ferrara che risiederà provvisoriamente in Lugo (51). Ha mandato a Cento a rimettere il tricolorato vessillo [...]. Dicesi pure che la terra o governo d’Argenta allorchè ricevette in lettera l’ordine di abbassar la coccarda, abbia risposto che non può riguardare attendibile una lettera della Reggenza attuale che non apparisce legittimata ad agire da alcun manifesto partito direttamente o soscritto dal Maresciallo Bentheim (52).

Argenta cinque giorni dopo, l’11 marzo, torna sotto il controllo del governo rivoluzionario per l’intervento di un distaccamento della Legione Pallade (53) e alcune Guardie Nazionali di Budrio che, partite da Lugo, rialzano in piazza la bandiera tricolore (54). Il 14 marzo il comandante della Guardia Nazionale di Alfonsine segnala all’omologo di Fusignano che da Argenta gli è stato comunicato «che i Tedeschi sono giunti a Porto Maggiore» e quindi «per prudenza mi sono ritirato colla mia poca Guardia Nazionale alla destra di Reno alla Bastia». La notizia immediatamente è trasmessa a Lugo per verificarne la veridicità (55). Lo stesso giorno il capo battaglione Pietro Manzieri scriveva al Comitato Provvisorio di Lugo da Otricoli «[...] la vittoria ci attende al Campidoglio, e di là purificato dalla pestilenzia malvagità renderlo degno dell’antica Roma de Bruti, Cincinnati, e Camilli così si spera» (56); non immaginava che dopo pochi giorni sarebbe arrivato l’ordine di deporre le armi. La situazione diventa sempre più grave e il Governo Provvisorio delle Provincie Unite Italiane decreta l’apertura di un arruolamento volontario per la formazione di sei reggimenti di fanteria e due di cavalleria destinati alla protezione dello stato «visto che le milizie attualmente assoldate non corrispondono ai presenti bisogni della Patria» (57), ma ormai è troppo tardi e non si riuscirà nemmeno ad iniziare le pratiche burocratiche. L’assemblea dei deputati delle Provincie Unite Italiane convocata a Bologna, con avviso dell’11 marzo (58), viene rinviata al 31 marzo, ma il precipitare degli eventi costringe il presidente ad anticipare la seduta al 20 marzo (59), cosa che non avvenne per il motivo che l’assemblea fu costretta a ritirarsi verso Rimini per l’incalzare degli eventi, sotto la protezione del generale Carlo Zucchi (60) nominato pochi giorni prima comandante in capo dell’armata rivoluzionaria. Il 21 marzo 1831 la truppa austriaca, in precedenza stazionata a Piacenza (61), al comando del generale Frimont (62) passa il confine dello Stato Pontificio, occupa Bologna (63) e si avanza verso la Romagna, il generale Grabinskj (64) intercetta e tenta di bloccare le prime avanguardie a Imola, ma senza esito, altri distaccamenti austriaci procedono lungo la statale San Vitale in direzione di Lugo, vanamente ostacolati dai patrioti in armi: il 21 e 23 marzo diversi contingenti transiteranno per la capitale della Romandiola. Francesco Rangone, probabilmente male informato, registra nelle sue memorie questi combattimenti come vittorie degli insorti (65):

23 marzo [1831] [...] Quei pochi che si sono avanzati verso la Romagna dal lato di Lugo hanno avuto uno spiacevole incontro col Gen. Grabinski, che ha rovesciato la Vanguardia facendo molti prigionieri e altrettanti mandandone feriti, che si attendono a Bologna, a meno che non pieghino a Ferrara (66).

La situazione è ormai fuori controllo, le schiere dei rivoltosi sono costrette a ripiegare su Forlì, poi a Rimini, dove avviene lo scontro armato del 25 marzo (67) e infine a Pesaro.

Mentre a Bologna si tentava di dar forma giuridica alle nascenti istituzioni, a Forlì si concentravano le Guardie Nazionali con l’intento di ostacolare l’avanzata degli austriaci che avevano raggiunta Ferrara e Comacchio. Il Governo di Bologna si ritirò a quel punto verso Ancona, creando scompiglio e avvilimento. [...] L’atto più meritorio e che distingue e caratterizza la rivoluzione riminese fu la resistenza armata delle truppe rivoluzionarie all’avanguardia dell’agguerritissimo esercito austriaco. Lo scontro delle Celle salvò l’onore della rivoluzione! Si trovarono a faccia a faccia i competitori di tutta la nostra epopea risorgimentale: da un lato, disciplinati, numerosi, dotati di artiglierie, gli Austriaci, dall’altro gli insorti, mal addestrati e peggio equipaggiati, in tutto appena duemila uomini. Il gen. Zucchi ingaggiando il combattimento, si proponeva solo di dar tempo ad altre truppe di organizzarsi, e soprattutto di aiutare i profughi e i membri del Governo Provvisorio a raggiungere la fortezza di Ancona. Animate dall’energia del loro comandante, le truppe italiane si batterono tenacemente fino all’ora vespertina riprendendo poi la via di Ancona. Perché gli scopi erano stati raggiunti. Questo nelle sue sintetiche linee il combattimento di Rimini del 25 marzo 1831, l’atto più efficace e degno di considerazione di quella «idilliaca» rivoluzione. [...] Alle Celle, dunque, nel luogo dove divergevano le due strade per Bologna e per Ravenna, 5.000 fanti, 500 cavalli e 4 cannoni agli ordini del gen. Mengen furono respinti due volte dai duemila volontari del gen. Zucchi e nel combattimento il principe di Liechtenstein perdette una gamba [...] (68).

Ad Ancona il Governo delle Provincie Unite Italiane firma la fine delle ostilità il 26 marzo con operatività dal seguente 27 (69). Nel frattempo, bloccata sotto Civita Castellana e Rieti sin dal 7 marzo (70), la raccogliticcia armata rivoluzionaria che aveva nel frattempo raggiunto non più di 4.000 uomini, ebbe a subire diversi sfavorevoli scontri armati, fino al 26 successivo quando ricevette l’ordine di concentrarsi a Perugia, Todi e Narni e deporre le armi, cosa che avvenne a Spoleto il 30 marzo (71); i volontari lughesi (72) rientrarono in patria alla spicciolata dopo diversi giorni di marcia attraverso campagne ostili. L’esperimento rivoluzionario, però, non poteva considerarsi chiuso: il focolaio della ribellione, mai sopito causa la totale chiusura del pontefice alle istanze della popolazione si riaccese nell’estate del 1831 dopo la partenza delle truppe occupanti austriache. A maggio la «nota diplomatica presentata in Roma dai ministri delle cinque alte potenze alleate li XXI maggio MDCCCXXXI. All’Eminentissimo signor cardinale pro-segretario di stato di SS. Papa Gregorio XVI», non ebbe alcun seguito. In essa nota veniva consigliata la riforma della giustizia, della fiscalità e dell’amministrazione pubblica, ma nessuno se ne diede per inteso e la situazione, andò progressivamente peggiorando sfuggendo al controllo delle autorità. Riprese vigore il partito clericale e si rinnovarono le vessazioni nei confronti dei liberali da parte dei volontari pontifici (73), le formazioni parapoliziesche dei famigerati «centurioni» reclutati tra la peggior feccia sociale, responsabili di fatti che avrebbero fatto impallidire anche le squadracce di randellatori e assassini fascisti (74).

[...] Gli omicidi che tutto giorno si vanno commettendo sono cagionati dallo spirito di parte inveterato, e dall’odio contro que’ ribaldi di Centurioni e d’impiegati politici che infestarono sì atrocemente quei paesi. Né puossi per ora prevenirli o cassarli [...] Troppe famiglie si risentono ancora delle atrocità commesse dai proseliti di Gregorio un odio troppo accanito si generò per queste nei romagnoli [...]. Fra tanti orrendi misfatti ebbero luogo nulladimeno alcuni tratti di umanità, e si videro degli uffiziali, al soldo tedesco accompagnare alcuni cittadini alle proprie abitazioni, onde salvarli dalla ferocia dei Centurioni [...] (75).

Molto aderente alla realtà, seppure abbondantemente partigiana, la descrizione di quegli avvenimenti nella relazione del Tribunale Supremo della Sagra Consulta:

La fatale anarchia che cotanto agitò queste Provincie dal Giugno 1831 fino all’epoca dell’augusto reingresso delle Truppe Pontificie che seguì nel 20 Gennaro 1832, non fu altrove tanto funesta, quanto feconda di atroci delitti si rese in questa sventurata Città. Bastava l’essere creduto buon suddito Pontificio per essere assoggettato alle derisioni, alle minaccie, ed agli insulti della setta di quei faziosi che arrogansi lo specioso nome di Liberali. Se al loro cospetto appariva uno di quelli, o tacciavasi di Brigante, o ridevasi col dirgli, che esalava puzzo di cipolla, o con altri modi insultanti si provocava a segno, che il suo meglio era di fugire, e nascondersi. [...] Un vicino Campo fuori Porta di Brozzo adjacente al vicolo denominato del Pestrino, era il luogo di deposito dei Cadaveri degli uccisi, e chiamavasi Campo di Gloria, Macello dei Briganti. Morte ai Papaloni, Morte ai Briganti era l’intercalare, che non si ommetteva nelle frequenti cantate, che intuonavansi dalle orde Liberalesche, che aggiravansi armate per le contrade della Città (76).

Dopo l’esperienza del napoleonico regno d’Italia che aveva favorito una qualità di vita abbastanza dignitosa ai sudditi, a seguito degli eventi del 1831 il governo della pubblica amministrazione venne modificato in senso ancor più repressivo rispetto ai primi anni della restaurazione. L’aumento dell’imposta prediale, la dipendenza dal clero del potere giudiziario, la chiusura delle università, il ristabilimento in Romagna del Sant’Uffizio e l’istituzione di un supremo tribunale inappellabile formato da giudici esclusivamente ecclesiastici (77), contribuì all’aumento del malcontento tra le genti della Bassa Romagna che il 5 dicembre 1831 rivolgevano un accorato appello all’autorità pontificia perché prendesse in considerazione i punti esplicitati nella nota diplomatica del maggio precedente (78). Dopo l’appello anonimo del 5 dicembre anche la Magistratura di Lugo, assieme ai rappresentanti delle altre Magistrature di Fusignano, Cotignola, Bagnacavallo, Conselice, Massa Lombarda e Sant’Agata, il 10 dicembre 1831 indirizzava una petizione al pontefice in cui si chiedevano modifiche su alcuni problemi di ordine amministrativo.

L’oggetto della presente Convocazione è mosso da Rappresentanze avvanzate dalle Popolazioni del Distretto alle rispettive Magistrature, colle quali facendo conoscere il deplorabile stato in cui trovasi ridotta la Romagnola non potendosi conformare alle esigenze di Monsignor Asquini Pro-Legato di Ferrara, non essendo queste conformi alle prescrizioni che regolano le Provincie di Forlì, Ravenna, e Bologna, colle quali sono pur anco eguali e comuni i bisogni del nostro Distretto, reclamano come unico indispensabile mezzo a sfuggire gli orrori dell’Anarchia, essendosi quasi perdute le traccie tutte della Civile Organizzazione, l’immediato distacco della Provincia Ferrarese, e l’aggregazione almeno in via provvisoria a quella di Ravenna, convinti essendo che l’inutilità delle medesime Istanze al S. Padre avvanzate in passato dalle Magistrature, provenuta sia dalle sinistre informazioni, che il Pro- Legato di Ferrara abbia date sul conto del Distretto per cui si ritiene che uniti a Ravenna quel Pro- Legato, chiamato ad informare sulle comuni lagnanze non avendo interesse di coprire riprovevoli abusi, né di ascondere la verità, darà quell’esatta informazione, che certamente valga a procurare a questo Distretto la grazia Sovrana. [...] Il più importante bisogno deriva dalla Topografica nostra situazione, che per se stessa, ci tiene circuiti alla Provincia di Ravenna, e ci disgiunge affatto da Ferrara [...] troviamo un ulteriore discapito, ad onta di dover sempre impiegare molti giorni per accedere e tornare dalla Centrale della Provincia di Ferrara, alla quale poi chi non ha mezzi [...] rimane sempre impossibile lo andare. [...] La legge vuole che nessun Possidente possa essere costretto a pagare le Imposte fuori dalla Comune a cui appartiene, ed il Pro Legato pretende che si rechino a pagarle in Ferrara [...] non ostanti tutte le Rappresentanze, che [...] appellando al beneficio delle Leggi, le singole Comunali Magistrature hanno umiliato allo stesso Monsignore [...]. La Legge accorda ai Consigli Comunali il diritto di proporre al Governo la Terna per provvedere al rimpiazzo dei Magistrati mancanti; Monsignor Asquini o ha impedito che si riuniscano a tale uopo i Consigli, ovvero ha annullati gli Atti dei medesimi, abbenchè pienamente regolari. [...] Questo procedere ingiurioso per intere Popolazioni ha prodotto sugli animi molta irritazione, ed è stato cagione di sommo danno alle Amministrazioni Comunali, ha compromessa la pubblica tranquillità: poiché in vista di ciò alcune Comuni sono da tanto tempo rimaste affatto prive de’ proprj Magistrati. [...] Egli si è rifiutato di sostenere quelle spese di pubblico servigio, che sono a carico del Governo, nel modo che lo sono dai Pro-Legati nelle limitrofe Provincie. Nel tempo stesso proibisce alle Comuni di farvi fronte [...]. Egli si è rifiutato di riconoscere la Guardia Civica, abbenchè mancasse ogni forza al Governo (79).

La richiesta dello scorporo della Romandiola dalla Legazione di Ferrara fu accolta, ma solo per poco tempo (80), e Gregorio XVI non tenne in alcun conto le richieste: dopo le promesse peggiorò la situazione inviando in qualità di Commissario straordinario per le quattro Legazioni il vecchio cardinale Giuseppe Albani (81), che arrivò in Rimini il 18 gennaio 1832 (82).

Alle norme imposte dall’Austria doveva naturalmente uniformarsi anche il card. Albani. Nel dicembre egli fu autorizzato a permettere non soltanto la conservazione della Guardia Civica, ma anche un’amnistia generale. Le nuove istruzioni inviategli il 12 gennaio, prescrivevano invece lo scioglimento della Guardia Civica e non parlavano più di un’amnistia generale, bensì solo di un perdono concesso ai «traviati». E mentre prima non si era pensato ad un disarmo della popolazione, ora fu prescritto un disarmo generale.(83).

Se per alcune settimane tutto rimase relativamente tranquillo, dall’estate di quel 1831 (84), la situazione andò deteriorandosi con frequenti brutali aggressioni a sfondo politico. Nella società della bassa romagnola, governata, a quel tempo, da un forte senso dell’onore, le baruffe, le risse, gli accoltellamenti, le vendette, e le bastonature erano all’ordine del giorno e più di una volta ci scappò pure il morto.

Sanfedisti e patrioti, papaloni e framassoni, ‒ i nomi variano da luogo a luogo e sono molti nella stessa località – si accoltellano e si uccidono nell’agguato di una notte oscura, o dopo una festa di chiesa, o durante una lite che è nata da una ragione o da un pretesto qualunque (85).

La sera del 19 giugno 1831, circa un quarto d’ora dopo l’Ave Maria (86), Pietro Giordani (87), in compagnia di Giuseppe Bernardi detto Servidio ed altri amici, si recò nella taverna della vedova Lattuga, detta la Sartora, nei pressi delle fosse della città, gestita da Facondo Gherardi (88) detto il Modenese. Giunto nel cortile della taverna il Giordani si fermò sedendosi per bere vino in vicinanza di una conventicola di circa una ventina di persone tra cui Giuseppe Amadei (89) e Giovanni Crispi (90). Ad un certo punto alcuni ragazzetti, istruiti a dovere, si avvicinarono al Giordani dicendogli che puzzava di cipolla e si misero a cantare alcuni inni patriottici. Alla provocazione Pietro Giordani non reagì dicendo che avrebbero potuto cantare quanto volevano perché a lui non importava niente. Ad un certo punto, allontanatisi i ragazzetti, Giuseppe Amadei si avvicinava al Giordani con un boccale e un bicchiere e si sedeva di fronte a lui dicendo più volte «Voglio mettermi qui, sebbene vi siano persone che mi vogliono ammazzare», con chiaro riferimento alla sua persona. Messo in guardia da quelle parole il Giordani si alzò per allontanarsi, ma l’oste Facondo Gherardi lo rassicurò e lo invitò a rimanere affermando che nessuno gli avrebbe fatto del male. L’Amadei, però, continuò a provocarlo fino al punto che Pietro Giordani spazientito rispose «Tu per essere un’Italiano, o Liberale, vorresti mettere i piè sul collo anche a me, ma non vi riuscirai», al che l’Amadei urlò «Che Briganti!, Che Italiani! Accidenti ai Briganti, io voglio difendere la mia patria fino all’anima». Nel frattempo Giovanni Crispi si era alzato dicendo: «Tu parli con Amadei, perché vedi che è ubriaco. Tu devi parlare con noi Brigante che sei». Il Giordani replicò che con lui non avrebbe parlato e che, comunque, non aveva avuto alcuna intenzione di offendere nessuno, ma in quel momento il Crispi con un bastone lo colpì alla testa e continuò più volte anche nei confronti dell’amico Giuseppe Bernardi, che fino ad allora non aveva proferito parola. Il Bernardi riuscì a fuggire dall’osteria, mentre Crispi continuava a picchiare il Giordani che sebbene intontito scappò in strada, ma caduto a terra durante la corsa verso la casa del fratello Luigi poco distante, fu raggiunto da Facondo Gherardi che gli vibrò una coltellata all’addome. Pietro Giordani morirà verso mattina circa alle tre (91). Partite le truppe d’occupazione austriaca il 15 luglio, la situazione peggiora: il 22 agosto si verifica un altro grave fatto di sangue conclusosi fortunatamente con lesioni, sebbene gravi, nella persona di Ilaro Pirazzini, già in addietro fatto oggetto di una sassaiola che lo aveva ferito leggermente. Quel giorno nel dopo pranzo Cassiano Tabanelli (92) detto Sempre si drizza, fornaio di professione aveva caricato un amico su di una carriola e copertolo con un sacco andava in giro per le vie della città gridando se qualcuno aveva «della penna vecchia, del vetro rotto, e dei Briganti da mettere nel sacco» aggiungendo che il suo «maestro quando andava a scuola gli insegnava di condurre i Briganti sulla Cariola». Dietro a lui seguiva un gruppo di una ventina di persone armate di randelli, coltelli e stili con intenzioni minacciose. Dall’osteria Scalaberni si diressero verso la porta di Brozzi dove Ilaro Pirazzini si stava facendo aggiustare una scarpa nella bottega di Bonafede Nuvoli, notata la sua presenza dal gruppo si staccò Francesco Verlicchi (93) che gridando «sangue della Madonna ti ho poi trovato» sferrandogli un pugno seguito dalle bastonate di Sebastiano Olivieri (94) che gli urlava di andare via. Il Pirazzini trovatosi a mal partito cercò la fuga rifugiandosi in una casa vicina, ma il gruppo inferocito lo inseguì e circondatolo fu raggiunto da cinque coltellate non mortali (95). Nella notte tra il 23 e il 24 agosto si consumò l’omicidio dei fratelli Gallignani. La sera di martedì 23 agosto nella fornace Pirazzoli si svolgeva la tradizionale «sfoglieria del formentone» e agli invitati il capo fornace Francesco Berti (96) aveva organizzato una piccola festa con alcuni suonatori. Purtroppo era presente anche un gruppo di una trentina di «Liberali» che spesso gridavano «che in quella festa, dove essi erano, non volevano briganti, cioè persone attaccate al Governo Pontificio». Circa alle 23 capitarono i due fratelli Carlo e Giovanni Antonio Gallignani e immediatamente iniziarono gli sfottò, Giovanni Orioli (97) sgambettò durante il ballo Giovanni Antonio facendolo cadde a terra, Gallignani, a quel punto, si allontanò dal gruppo e si mise a sedere in disparte sul cumulo del mais spannocchiato. I due fratelli dopo una sosta di un’ora in cui trovarono modo anche di partecipare ai balli, verso mezzanotte decisero di ritornare a casa per evitare ulteriori grane. Nei pressi della porta di Brozzi, all’improvviso nell’oscurità, vennero affrontati da Facondo Gherardi, Giacomo Rocchi (98), Antonio Borghesi (99), e Antonio Bernardi (100), che sparò un colpo di pistola a Carlo Gallignani ferendolo al braccio destro. A seguito del colpo ricevuto Gallignani cadde a terra dove fu colpito da due coltellate, ma nel momento in cui Facondo Gherardi aveva afferrato per il petto il fratello Giovanni Antonio, al fine che non riuscisse a fuggire, Giacomo Rocchi esplose un colpo di pistola che però colpì il Gherardi alla mano sinistra lasciando libero Gallignani che cercò la fuga correndo verso il vicino molino da polvere. Raggiunto dopo pochi metri fu fatto segno a 4 coltellate - due alla schiena, una all’ipocondrio sinistro e una all’emitorace sinistro interessante anche il braccio omolaterale - che lo stesero morto. Carlo, ferito dal colpo di pistola e dalle coltellate giaceva cosciente a terra, ma anche se trasportato all’ospedale vi moriva poco dopo (101). Tale stato di cose richiese l’intervento diretto del cardinal legato che, in agosto, ordinò la formazione di due corpi locali di Guardia Civica uno per l’abitato e uno per il forese. L’organizzazione richiederà qualche settimana di tempo per selezionare i militi più motivati, molti di idee liberali che venivano dalla precedente esperienza rivoluzionaria. Totalmente inaffidabili si resero autori di diversi episodi di violenza proprio in quei giorni. Ai primi di settembre allarmati da una possibile nuova invasione dal ferrarese un gruppo di sessanta patrioti lughesi «si trasferirono sabato alla Bastia per opporsi alla venuta di 150 Ciuciari che si era sparsa la notizia potessero venire in Lugo per proteggere la Fiera, cosa che però non si è verificata»(102). Il 18 settembre 1831 veniva ufficialmente messa in funzione la nuova Guardia Civica, ma l’atmosfera politica non migliorò affatto.


Il 3 ottobre Argenta insorse, contro il rigido Governo del Cardinal Legato di Ferrara Conte Asquini, dal quale vogliono sottrarsi anche gli abitanti della Romagnola. Si inalberò il tricolore, si urlò contro il Papa e suoi Prelati. I liberali di Lugo e circondario corsero bardati alla Bastia, si vociferava che i soldati del Papa venissero anche da noi; ma non se n’è visto neppure l’ombra. Quivi arrivati una forte schiera di essi, capeggiati dal Conte Pietro Manzoni e dai Morandi, unitamente ai liberali di Massa, Conselice e Fusignano si spinsero fino ad Argenta. Grandi furono le accoglienze fatte ai rivoltosi Romagnoli dai capi di quella Comunità. Quivi avvi un gran fermento, il popolo urla, schiamazza sulla piazza, vuole leggi nuove, vuole libertà [...](103).

Il 26 ottobre 1831 il tenente della Guardia Nazionale Giulio Cesare Bianchi (104) comunicava la situazione ormai fuori controllo a Lugo:

Nella scorsa notte vennero in questa città alcuni argentani i quali assicurarono l’arrivo nel loro comune di un corpo di truppa papale assistito da molti di quei lughesi che per vari delitti abbandonarono la Patria, e soggiunsero che dopo breve riposo si sarebbe inoltrato a Lugo [...] A tale inaspettata notizia questa Popolazione si pose in una decisa avvertenza dal che nacque un’allarme presso che generale. E sebbene questo S.r Colonnello, l’aiutante maggiore S.r Carnevali (105), molti altri ufficiali ed il S.r Governatore si sentissero, e cercassero mitigare gli animi, pure malgrado i loro divisi, nulla poterono ottenere. Avrebbe il Magistrato agiunto a quelli de’ nominati Signori i suoi offici e le sue premure per la moderazione, ma troppo tardi lo seppe, perche già battuta la generale marciava alla volta della Bastia una grossa colonna di questi civici. Ecco le cagioni della crittica situazione in cui ci troviamo. Bramosi di tentare ogni strada di riparare [...] ai tristi effetti che potessero nascere per si tale mossa dei nostri cittadini, la di lei accidentale venuta in questa città ci è molto opportuna. Quindi la preghiamo vivamente a penetrarsi della nostra situazione e a volersi portare alla Bastia ed usare di tutta la sua prudenza e di quell’influenza che un uomo onesto può sempre esercitare sugli animi di un pubblico, influenza che noi riteniamo più efficace [...] affinchè quegli animosi cittadini non comettino cosa che disturbi la pubblica tranquillità od andasse a compromettere maggiormente questi Paesi di più vedere di persuaderli a ritornare ai loro focolari, valendosi inoltre del nome nostro se lo trova opportuno ad ottenere il bramato esito. [...] (106).

Nulla, però, fermò i volontari e la colonna agli ordini di Antonio Melandri, arrivò alla Bastia il 27 ottobre (107) e, di conseguenza non potendo più imporre la sua autorità, Michele Bolis dava le dimissioni da comandante la Guardia Nazionale il 13 novembre seguente. Un’interessante minuta di lettera di Giovanni Antonio Bolis (108), attualmente custodita nell’archivio privato Tamburini a Fusignano, informa l’«Ornatissimo Signore Signor Dottor Giuseppe Compagnoni (109), Firenze» dei fatti di Lugo:

A.C. Ferrara 13 novembre 1831 Pensaste benissimo, quando credeste falsa la notizia che fosse accaduto vicino a Lugo una zuffa tra i soldati pontificj e i rivoltosi, giacchè i carabbinieri non hanno mai oltrepassato Argenta. Il fatto genuino però si è che alcuni faziosi d’Argenta instigati dai lughesi fecero deporre il giorno 21 ottobre la coccarda papale alla guardia civica ivi legittimamente instituita, ne mutarono li uffiziali, e costrinsero il governatore a scarcerare un loro partigiano. Di ciò informata la legazione mandò un corpo di cento uomini circa per restituire l’ordine e la legittimità in Argenta, ma i faziosi appena saputolo fuggirno a Lugo, ove fu improvvisamente battuta la generale, e radunato un corpo di 59 persone l’inviarono alla bastia. I lughesi poscia invocarono il soccorso dei paesi vicini e lontani ma non ne poterono avere che dalla Romagnola di modo che riuniti tutti i rinforzi si stentò a mettere assieme un distaccamento di 200 individui. La legazione che ad ogni costo vuol controllare il porto di Argenta rinforzò poscia assai pure il distaccamento d’Argenta fino al oltre duecento soldati, ma questi non hanno per ora ordine d’inoltrarsi, e i lughesi sempre più calati di numero lungi dall’assalire i pontificj ritengo che pronti fuggiranno allorchè, quando che sia, verranno assaliti dai tedeschi però se ne dicono tante, che non so cosa possa credersene, una cosa i fatto si è che in Ferrara la truppa tedesca si è aumentata a poco a poco fin quasi ai tremila uomini. Giorni sono si portò qui una deputazione lughese composta dal conte Michele Bolis, di Strozzino (110), Carnevali Alessandro con altri deputati di Bagnacavallo, Fusignano, e Massa per trattare un accomodamento, ma a fronte della debolezza del nostro governo io dubito che possa combinarsi alcunchè di buono, giacchè i fanatici di Lugo non andranno d’accordo colle massime d’equità spiegate dalla sua deputazione, ed alle quali avrebbe facilmente aderito la legazione. Meloni il professore è già da molti giorni partito per Lugo a fare la scuola, ed ha scritto di essere stato bene accolto, od almeno non maltrattato. Bisogna però notificarvi che prima di andare fece degli uffizi coi Pirazzoli. Alpi e Samaritani hanno preso soldo come cadetti, Meloni no. Samaritani (111) poi il padre continua a star qui, e se non fossero venuti alla bastia i liberali, forse sarebbe partito per Filo a quest’ora. Se non avete ricevuto notizie di casa vostra ne ho ricevute io, e posso assicurarvi che meno una gran paura non hanno alcun incomodo. Mi saluti il dr. Garavini, che sarà già pervenuto costì, e gli dica che non gli scrivo novità, perché oggi non ne ho voglia e che se mai gli salta il ghiribizzo di scrivermi dirigga la lettera a mia moglie in Lugo, giacchè stanotte parto per Cotignola ove tratterrommi per quattro, o cinque giorni, od al più una settimana, e poscia tornerò in Ferrara. Ho colà un interesse da combinare, e spero di riportare indietro le ossa sane. Pierino dalla Casa è rimasto in Bologna, e sta piuttosto male, ed è tisico. Suo zio il professore, e Zanelli con sua moglie, che meco ancora soggiornano, vi salutano caramente, e vi pregano a salutare il dr. Garavini, che dicono mancator di parola per non essere venuto a Ferrara. Addio.

Contemporaneamente all’occupazione del passo della Bastia il clima tra le opposte fazioni politiche si deteriora sempre più, fino al fatto di sangue del 16 gennaio 1832. Già alcuni giorni prima Francesco Comazzi detto Cughetto era sfuggito ad un attentato perché avvisato da un liberale, suo conoscente, che Giovanni Orioli, Luigi Compagnoni (112), Matteo Donati e Gaetano Benini (113), lo avevano minacciato di morte e si aggiravano armati nei pressi del Trebbo e di via Cento. Nel primo pomeriggio del lunedì 16 gennaio 1832 Comazzi uscì di casa e si diresse nella contrada di Cento, ma vedendo che gli stavano andando incontro Benini e Donati credette opportuno fermarsi presso la casa delle cugine Ricci a parlare con loro e con il calzolaio Pompilio Farini. I due pertanto tornarono indietro ed entrarono nella vicina osteria di San Rocco da dove si affacciarono alla finestra controllando il passeggio in strada. Passata circa un’ora i due uscirono dall’osteria e si avvicinarono al Comazzi chiamandolo con buone maniere, avvicinatosi ai due, di punto in bianco, questi cominciarono a picchiarlo a pugni in testa tentando di accoltellarlo. Vista la mala parata Comazzi si divincolò e fuggì di corsa verso i rivali di Cento inseguito dagli aggressori - Donati armato di coltello e Benini di pistola - che gridavano di volerlo ammazzare. Fortunatamente riuscì a raggiungere la propria abitazione da dove partì la mattina successiva per Ferrara dove si arruolò nelle milizie pontificie. Nel ritornare sui loro passi Luigi Compagnoni, Matteo Donati, Gaetano Benini e Giovanni Orioli si unirono a Ferdinando Spagnoli (114) e videro che dal Trebbo sopraggiungeva Agostino Berardi detto Gattone mangiando polenta, affrontatolo il Benini gli vibrò un colpo di sciabola tra capo e collo, l’aggredito cercò di fuggire, ma colpito da altri colpi di sciabola e dalle coltellate vibrate da Orioli e Spagnoli cadde a terra morto (115). Mentre i volontari alla Bastia attendevano pazientemente alle loro funzioni, le autorità pontificie avevano preparato un piano per risolvere definitivamente la questione della ribellione. Il cardinal Albani propose, senza risultato, di evitare Cesena, in cui era concentrata gran parte dei ribelli e di puntare direttamente su Forlì, pertanto il 19 gennaio un distaccamento pontificio da Cesenatico (116) raggiunse Cervia poi Ravenna, mentre il corpo principale marciava da Savignano per la via Emilia. Il 20 gennaio le truppe austriache impegneranno i liberali a Cesena (117) entrando a Forlì il giorno successivo, fu poi la volta dell’occupazione di Faenza e Imola (118):

Le truppe potevano entrare in Forlì il 21 gennaio senza incontrare resistenza, ma la stessa sera, prima dell’arrivo dell’Albani, sorse improvvisamente uno scontro fra i soldati e gli abitanti che finì con il massacro di molte persone. «Uno sparo di fucile, derivante a senso mio da malevolenza e con animo di far nascere un disordine, gettò l’allarme nei soldati, i quali, considerando quello sparo come un segnale di ostilità e di aggressione non seppero contenersi e senza dipendere in alcuna maniera dai loro capi ed ufficiali incominciarono ancor essi a far fuoco e il risultato di questo doloroso avvenimento è stato la morte di 21 individui, fra i quali ancora quattro soldati» (119).

Sul fronte del Primaro un corpo di 600 uomini (120) proveniente da Argenta al comando del tenente colonnello Zamboni, assistito dal generale austriaco Geppert (121), attaccò il presidio liberale della Bastia.

Alli 20. Gennaro, giorno di Venerdì. Al Passo della Bastia sul fiume Primaro per andare ad Argenta ove si trovava un Corpo di Gioventù di Lugo e di Paesi circonvicini in n. di 60. circa per custodire il detto passo sotto il nome di Guardie Civiche, e del così detto Partito de’ Liberali, si presentò improvvisamente sul far del giorno un Corpo di Milizie Pontificie sotto gli ordini del Colonnello Sig. Cav. Zamboni, e s’impegnò una Zuffa in cui furono vincitori i Papalini che misero in fuga i liberali, li disperse facendone prigionieri 23 e 12 circa feriti fra i quali mortalmente il Giovine Carlo Polzi (122) figlio del Sig. Luigi. Il Capitano di questi Civici era il Giovine Antonio Melandri figlio di Marco, fratello del nostro Stampatore che scampò la vita con la fuga, essendo rimesso in Potere delle Truppe Pontificie il detto Passo della Bastia (123).

Le truppe pontificie vincitrici proseguiranno la marcia fino a Ravenna dove entreranno il 4 febbraio seguente. Sgominata la resistenza dei rivoluzionari era aperta la strada per Bologna: il generale Radetzky (124) è a Castel S. Pietro il 24 gennaio 1832, al comando di 12 battaglioni di fanteria, 6 squadroni di cavalleria e quattro batterie di artiglieria che il 28 gennaio occupano Bologna (125). La ribellione della Romandiola terminava a quasi un anno dall’inizio della rivolta e il 29 gennaio il pro-legato di Ferrara indirizzava alla popolazione la seguente notificazione in cui ordinava lo scioglimento della Guardia Civica e l’immediata consegna delle armi:

Ebber fine una volta i disordini, e l’anarchia nella quale per opera di pochi malvagj eravate avvolti, e mercè le fedeli Truppe di Sua Santità già si ricompone l’ordine, e la tranquillità in codeste contrade, e l’Autorità del vostro legittimo Sovrano Gregorio XVI potrà ora farvi sentire i benefici effetti del suo Gran Cuore, cui pose ostacolo finora la pertinaccia la più deplorabile. [...] Già abbiamo dato gli ordini al Superior Comando Militare di codesto distretto di ristabilire le Brigate dei Carabinieri ove si ritrovavano dacchè le Guardie Civiche, o Forensi [sic] devono assolutamente esser disciolte sul punto, in virtù degl’ordini contenuto nella Notificazione dell’Eminentissimo e Reverendissimo Sig. Cardinal Albani Commissario Straordinario di Sua Santità nelle quattro Legazioni datata da Imola li 27 corrente (126). [...] Il disarmo generale ordinato dal Governatore di Lugo (127) d’intelligenza col Sig. Colonnello Zamboni col suo ordine delli 23 corrente è in tutte le sue parti confermato, anzi volendo noi che abbia esecuzione in tutto il Distretto, ordiniamo, che entro 24 ore dall’affissione della presente tutte le armi di qualunque siasi natura, sia da fuoco che da taglio, sieno consegnate in Lugo all’Uffizio del predetto Sig. Colonnello Zamboni [...] Così pure dovrà esser consegnato qualunque Uniforme delle disciolte Guardie Civiche, e Forensi, e qualunque effetto appartenente alle medesime entro lo stesso termine e sotto uguali comminatorie [...] (128).

Ancora il 5 febbraio, primo anniversario della rivoluzione, il cardinale Giuseppe Albani reiterava l’ordine del ritiro immediato delle armi (129), ma nel corso dell’anno non tutti i lughesi risposero all’intimazione per cui il pro-legato fu costretto a rinnovare ancora una volta l’invito alla consegna sotto la minaccia di pene detentive e multe.

[...] Costando al Governo Superiore, che tale deposito non è stato generalmente eseguito; e che anzi è tornato a rivivere l’abuso della delazione di dette armi, dobbiamo d’ordine del Governo medesimo richiamare i nostri Amministrati alla più stretta osservanza delle prescrizioni con tenute nelle cittate Notificazioni [...] onde non soggiacere alle pene ivi contenute. [...] (130).

Le truppe inviate nella Bassa Romagna per mantenere l’ordine erano costituite da reparti pontifici in sostituzione di quelli austriaci e ad aprile 1832 un drappello di Cacciatori a cavallo si acquartierava in Lugo nella caserma di S. Francesco, mentre i comandanti furono ospitati nelle case Morandi e Tellarini (131). La presenza di militari che pattugliavano il centro non erano visti di buon occhio dai giovani patrioti e, domenica 29 aprile 1832, nella popolare strada di Cento avvenne un grave fatto di sangue. Gli atti del successivo processo così descrivono gli avvenimenti (132):

Fu nel giorno di Domenica 29 aprile 1832, che adunati nel dopo pranzo trovaronsi a bere vino nel Magazzino Bolis in questa città i già nominati Paolo Castelli (133), Domenico Bedeschi (134), Francesco Toschi (135), Sebastiano Olivieri, Ferdinando Lattuga (136), Gaetano Biancucci (137), Paris Gherardi (138), Salvatore Centolani (139), Ferdinando Spagnoli, e Gaetano Ceroni (140) tutti di Lugo, i quali dopo aver quivi con qualcun altro nel loro tripudio cantate talune delle consuete canzoni liberalesche, si trasferirono alla Osteria della Pace, situato in un Crociaro di strada chiamato il Trebbo, e quivi mangiando, e nuovamente bevendo in una Camera al piano superiore, avendo le fenestre aperte sulla pubblica strada del Corso si posero a schiamazzare, cantando la così detta Carmagnola, e l’Inno della Libertà, declamando non meno essere l’ultimo giorno dei militari Briganti Papalini e che volevano disarmarli e vilipenderli, ed affacciandosi costoro alle fenestre, ed osservando che passavano per istrada alcuni Cacciatori di Cavalleria, vestiti col solito uniforme militare, osarono di farne beffe, sputando loro addosso, petezzando colla bocca ed usando altri modi ingiuriosi ed insolenti. Usciti finalmente dall’Osteria si divisero in più complotti, ed inviaronsi tutti per la contrada detta S. Maria, ed in quella detta di Cento, ove alcuni dei detti cacciatori stavano passeggiando per loro diporto, ai quali avvicinatisi, rinnovarono i primieri scherni, ed insulti col far loro le corna colle mani, tacciandoli di razza di cani, e con minaccia di ammazzarli. Tanta impudenza non potendo più tollerarsi, i detti Cacciatori sfoderarono, ed imbrandirono le loro sciabole, intenti a difendere il vilipeso onor loro, e del Sovrano, e per mettere almeno in fuga quei rivoltosi. Nondimeno ebbero l’ardimento costoro di soffermarsi a petto dei detti cacciatori, e quasi che nulla paventassero, e l’armi, e le pontificie divise, e gl’insulti bastassero ad atterrire i soldati papalini, rinnuovarono gli usati modi insolenti, provocandoli ad avanzarsi, se cuore avessero, esprimendo che li avrebbero fatti in pezzi. Ma i detti Militari spiegarono tutta la loro energia, ed inseguendo questi dichiarati ribelli, li misero in fuga, e ferirono lievemente Paolo Castelli, e Cesare Verlicchi (141), e con più gravi ferite inflitte a Gioacchino Canuti (142) nel dorso, e nel ventre, restò questi privo di vita (143).

Successivamente il Tribunale Supremo della Sagra Consulta emetteva pesanti sentenze per i ribelli lughesi con le condanne a morte di Antonio Borghesi, Antonio Bernardi (144) e Giovanni Orioli. Molti imputati, condannati a lunghe pene detentive, verranno deportati in Brasile nel 1837 dove troveranno il modo di combattere a fianco dei patrioti della Repubblica Bahiense. Nel 1846 i superstiti godranno dell’amnistia generale accordata da Pio IX e molti rientreranno in patria partecipando attivamente ai moti del 1848-49. Il moto di popolo del 1831-1832 era destinato a fallire già in partenza difettando di una ben organizzata catena di comando, situazione aggravata da incomprensioni, gelosie e rancori personali, mai sopiti all’interno delle stesse gerarchie politiche e militari. Alla prova dei fatti i patrioti dimostrarono una ben precisa connotazione ideologica, ma anche una totale mancanza di salda fede politica specialmente nel caso della valutazione del non intervento austriaco. La rivoluzione del 1831, al pari di quella del 1820-21, fu, in sostanza, una “rivoluzione romantica” che nulla avrebbe potuto contro avversari come l’Impero Austriaco e la Santa Sede.


 

1 E. Scala, Storia delle fanterie italiane. Le fanterie nel periodo napoleonico e nelle guerre del risorgimento, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, 1950-1956, III, p. 195. «Nella notte del 25 agosto 1830 il Belgio proclamò la propria indipendenza dall’Olanda, indipendenza che, dopo brevi lotte, fu riconosciuta dalle Potenze della Santa Alleanza. La Corona venne assegnata al Principe Leopoldo di Sassonia-Coburgo ed il Congresso belga, riunito a Bruxelles, votò la Costituzione. Nel novembre 1830, fidando nell’aiuto francese, la Polonia si ribellò alla Russia; ma ben presto le armi dello Zar domarono la rivolta e la Polonia, perduta la Costituzione, venne aggregata, sia pure con una propria amministrazione, all’Impero moscovita. La lotta fra Carlisti e Cristini imperversò per un decennio nella Spagna; ma battuto finalmente il Carlismo, la reggente Maria Cristina, che alle armi dei liberali doveva il proprio trionfo, concesse una nuova, più liberale Costituzione e, stringendo rapporti con Don Pedro, Imperatore del Brasile ed aiutandolo a vincere i terroristi, favorì l’avvento di un Governo liberale anche nel Portogallo». 2 C. Casanova, L. Mascanzoni, G. Susini, A. Vasina, Storia di Lugo, Forlì, Filograf, 1995 – Faenza, Edit Faenza, 1997. 3 Da segnalare la partecipazione alla sollevazione di George Byron che a quel tempo dimorava a Ravenna (Cfr.: G. G. Byron, Un vaso d’alabastro illuminato dall’interno. Diari, Milano, Adelphi, 2018, pp. 108, 147). 4 A. Poggiali, Storia di Lugo dal 1798 al 1838, Lugo, Walberti, 1978, pp. 183, 184, 193, 195. 5 Sull’onda degli avvenimenti di Francia. L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, Imola, Galeati, 1970, p. 230. È curioso notare che anche il “lughese” Gioacchino Rossini fu coinvolto, emotivamente in questo turbinoso momento politico. La prima del Gugliemo Tell si tenne a Parigi il 3 agosto 1829 in un clima già teso, la prima italiana avvenne il 17 settembre 1831 a Lucca. Il grande compositore, già sotto osservazione della polizia austriaca per i fatti del 1815, così si confidava con un amico: «Mentre componevo quest’opera sentivo in me qualche cosa che mi esaltava; credo anzi che se fosse scoppiata allora una rivoluzione, avrei preso anch’io il fucile... ma carico». M. Maggiorani, La funzione della musica nel risorgimento italiano, «La Giustizia», Roma 14 maggio 1960, p. 3.

6 G. Natali (a cura di), La rivoluzione del 1831 nella cronaca di Francesco Rangone, Roma, Vittoriano, 1935, p. 4. 7 A. Comandini, L’Italia nei Cento Anni del Secolo XIX (1801 – 1900) giorno per giorno illustrata. 1826 - 1849, Milano, Vallardi, 1902 – 1907, III, p. 223. 8 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit., p. 9. 9 Il maggiore De Schiaruzzi dell’Imperial Regio Comando della Fortezza di Ferrara così scriveva all’Inclito Governo Provvisorio di quella città il 10 febbraio 1831: «Accuso il foglio ufficiale n° 49 ricevuto quest’oggi, facendomi doveroso incarico di ringraziare distintamente delle amichevoli esibizioni manifestatemi nel medesimo. Assicurando contemporaneamente che sempre costante ai doveri della mia rappresentazione, mi sarà cosa molto gradita di contribuire, per quanto riguardi la mia persona, al mantenimento di quell’ordine nella mia Truppa, del quale la città di Ferrara da parecchi anni a questa parte, ebbe non equivoche prove». Archivio Storico Comunale Lugo di Romagna, d’ora in avanti ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 10 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Avviso a stampa dell’11 febbraio 1831 a firma Giovanni Vicini, Bologna, Tipografia Sassi.

11 A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 206. La documentazione archivistica riporta la data del 5 febbraio come inizio del moto a Lugo. ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Il comando della piazza di Lugo fu assunto da Alessandro Rossi. 12 Nato a Lugo nel 1802 e morto a Prangins sul lago di Losanna nel 1875. Fu anche organizzatore dei Corpi Franchi emiliano-romagnoli durante la prima guerra d’indipendenza. Alla difesa di Venezia e della Repubblica Romana nel 1848-49. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna nel risorgimento. 1815-1870, Faenza, Edit Faenza, 2011, p. 74. 13 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit. p. 17. 14 A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 227. 15 Un drappello di carabinieri transita per Lugo il 14 febbraio. ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Il corpo dei carabinieri pontifici venne istituito da Pio VII nel 1816. Regolamento sulla istituzione del corpo dei Carabinieri Pontificj, Roma, Poggioli, 1816, p. 3; «Art. 1. [...] esisterà per la forza esecutrice in quanto è anche destinata agli oggetti, che riguardano l’Amministrazione della Giustizia nel Civile e nel Criminale, un Corpo Militare, che porterà il nome di Carabinieri Pontificj. Art. 2. Il mantenimento dell’Ordine pubblico, la esecuzione delle leggi, ed una vigilanza continua, e repressione all’interno dello Stato costituiscono l’essenza del loro servigio. [...]». 16 Organizzata ed entrata in servizio il 12 febbraio 1831.

17 Nato nel 1789, partecipò al moto delle Balze nel 1845, componente la Guardia Civica nel 1848. N. Cani, A. Curzi ( a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 70. 18 Detto il Turbinoso per il carattere alquanto spigoloso, nato nel 1796, partecipò poi al moto di Imola nel 1843 e a quello delle Balze nel 1845, componente la Guardia Civica nel 1848. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 61. 19 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Francesco Borea, possidente, nato nel 1800, componente la Guardia Civica nel 1848. N, Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 29. 20 Gregorio XVI, al secolo Bartolomeo Alberto Cappellari, nato a Belluno, cardinale dal 1826, eletto pontefice il 2 febbraio 1831, morì il 1° giugno 1846, in quell’anno salirà al soglio pontificio Pio IX. G. Garollo, Dizionario biografico universale, Milano, Hoepli, 1907, I, p. 972. 21 Lettera da mittente ignoto al conte Giambattista Emaldi residente a Firenze in data 15 febbraio 1831. Collezione privata Lugo. 22 Ex ufficiale napoleonico, nato a Reggio Emilia nel 1785, dopo i fatti del 1831 riparò in Francia, poi in America meridionale dove incontrò l’amico Agostino Codazzi. Nel 1848 fu comandante dei Corpi Franchi emiliano-romagnoli agli ordini del generale Durando durante la prima guerra d’indipendenza. Morì nel 1851 nel suo possedimento di Villa Serraglio a Massa Lombarda. 23 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16.

24 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Lettera di Giuseppe Monti da Fusignano in data 15 febbraio 1831 alle Commissioni Comunali di Lugo, Cotignola, S. Agata e Fusignano. Proprio la mancanza di vedute politiche comuni nel breve volgere di poche settimane contribuirà al crollo di questa esperienza repubblicana. 25 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Il Comando Civico di Faenza con missiva in data 10 febbraio 1831 invitava il comandante della civica lughese ad organizzare un corpo di volontari per la spedizione su Ancona. «L’interesse della causa comune vuole che tutti i paesi della nostra Romagna prendino parte attiva alla spedizione che si stà eseguendo per le marche. Io eccito dunque tutto il di lei zelo a vuoler fare in modo che cotesta città invii al più presto un corpo di volontari armati il più numeroso possibilmente, facendolo dirigere a Forlì come punto centrale. [...]». Da Pesaro un proclama in data 11 febbraio, a firma del colonnello Sercognani, invitava i volontari a dirigersi all’assedio di Ancona. Il 13 febbraio anche un distaccamento della Guardia Civica di Massa Lombarda partiva alla volta di Imola «per unirsi all’esercito nazionale, guidato dal Sercognani, diretto ad Ancona». L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit., p. 232. 26 Alle 19,30 della sera. 27 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. 28 Con gli articoli del Congresso di Vienna era in potere dell’impero austriaco possedere le fortezze di Ferrara e di Comacchio per il controllo dei traffici lungo il Po e i confini del Lombardo-Veneto. Le due fortezze vennero demolite dopo l’unità d’Italia. 29 Giuseppe Sercognani, nato a Faenza nel 1781, ex ufficiale napoleonico, poi tenente colonnello al serviio austriaco, nominato generale al tempo della Vanguardia Nazionale su Roma nel 1831. Morì esule a Versailles nel 1844. 30 ASCL. Anno 1831. Militare busta 16. Anche Cotignola aveva inviato un distaccamento di trenta volontari. Il 18 febbraio il maggiore Alessandro Rossi comunicava alla Commissione Provvisoria di Governo di Lugo la capitolazione del forte di San Leo il 12 precedente chiudendo la missiva con «Viva l’amor di Patria, Viva la Libertà». A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 232.

31 Ex ufficiale napoleonico decorato della Corona di Ferro, nato nel 1781. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 60. 32 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 33 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 34 N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., pp. 53-54. 35 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2.

36 Nato nel 1801, componente la Guardia Civica nel 1848 e poi del Battaglione del Senio nella prima guerra d’indipendenza. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 98. 37 Nato nel 1803, componente la Guardia Civica nel 1848 e poi del Battaglione del Senio durante la prima guerra d’indipendenza. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 70. 38 Melandri Antonio, nato nel 1804, comandante i volontari alla Bastia nel dicembre 1831, esule in Francia dove esercitò la professione di veterinario. Morto nel 1883. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 67. 39 Nato nel 1803, componente la Guardia Civica nel 1848. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 24. 40 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 41 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Lettera del 24 febbraio 1831. «[...] Io pertanto prevengo V.a S.a che Domenica 27 corr.te alle ore 6 antimeridiane parto da Imola, onde raggiungere il prelodato Sig.e Generale, e così lungo il stradale dell’Emilia accetterò tutti quei distaccamenti di volontarj, che armati di lancie, e fucili troverò allestiti. [...]». Costante Ferrari riuscì a raggiungere Macerata dove si trovava il 26 marzo, poi, anch’egli, dovette cedere le armi (Cfr. P. Zama, La marcia su Roma del 1831. Il generale Sercognani, Faenza, Lega, 1976, p. 207). 42 Il delegato apostolico Folicaldi cede il governo della città di Fermo al generale Sercognani il 21 febbraio 1831. Alla Vanguardia si aggregarono anche i due fratelli Luigi e Carlo Bonaparte. Cfr.: N. Cani, Il pernottamento a Lugo del futuro imperatore Napoleone III, Lugo, CSE, 2019. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 256. 43 Giampaolo Azzaroli, Brunoni, Tellarini e Dalla Casa segretario. ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16.

44 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit., p . 59. Forse di tratta di Lorenzo Della Casa, nato a Lugo nel 1803, insigne matematico, laureatosi nel 1827 a Bologna, insegnante nel collegio Trisi fino al 1851, professore di fisica a Bologna dal 1852, morto nel 1870. 45 Anche a Modena il 22 febbraio veniva organizzato il primo reggimento fanteria di linea italiano, come pure a Reggio il primo reggimento leggero. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 256. 46 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. Notificazione a stampa in data di Ferrara del 20 febbrajo 1831. Nelle fortezze di Ferrara e Comacchio era presente un presidio austriaco in base al trattato di Vienna. 47 Ferrara aveva 7 rappresentanti, Lugo uno. 48 Avviso a stampa, dato in Bologna il 4 febbraio 1831, a firma del presidente dell’Assemblea Antonio Zanolini. Bologna, tipografia Sassi. ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. L’assemblea dei delegati di Bologna, Ferrara, Lugo, Bagnacavallo, Cento, Massa Lombarda, Pieve di Cento, Ravenna, Imola, Castel Bolognese, Faenza, Brisighella, Forlì, Cesena, Rimini, Pesaro, Urbino, Urbania, Fossombrone, Gubbio, Fano, Ancona, Perugia, si riunì per la prima volta il 25 febbraio. A. Aquarone, M. D’Addio, G. Negri (a cura di), Le costituzioni italiane, Milano, Edizioni di Comunità, 1958, pp. 553-560. 49 Nato nel 1793, ex sottufficiale napoleonico, esiliato, morì combattendo contro i carlisti in Spagna nel 1834. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 57. 50 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2.

51 Il presidente del Governo provvisorio Giovanni Vicini si affettava a comunicare che «non dubitando che la provincia di Ferrara sia tuttora nostra, abbiamo eletto, come di fatto eleggiamo in luogo del Prefetto che si nominerà in seguito, a Commissarj del Governo in Lugo per quel Distretto, e per la Comunità di Argenta e suoi appodiati il Signor Avvocato Gio. Antonio Guidicini [...] ed in Porto-Maggiore per quella Comunità, per Copparo, e loro appodiati, per gli appodiati di Comacchio, e per gli altri appodiati di Ferrara a Levante della Strada postale il Signor Avvocato Federico Pescantini». Avviso a stampa dato in Bologna l11 marzo 1831, Tipografia Sassi. ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 52 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit., pp. 80-81. 53 Transitò per Massa Lombarda il 16 marzo 1831. L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit., p. 234. 54 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Avviso a stampa del governo delle Provincie Unite Italiane a firma del colonnello Nicola Cattaneo comandante la Vanguardia Nazionale a Lugo, Lugo 12 marzo 1831. 55 ASCL. Anno 1831. Militare. Busta 16. 56 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. 57 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Avviso a stampa a firma Antonio Silvani, Bologna 16 marzo 1831. 58 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Avviso a stampa a firma Antonio Zanolini, Bologna 11 marzo 1831. «Il Presidente dell’Assemblea dei Deputati delle Provincie Unite Italiane. La riunione dei deputati, che per imprevedute cagioni si è dovuto sospendere, avrà luogo in Bologna nel giorno 31 del corrente Marzo[...]». Sessantaquattro furono i deputati per l’Assemblea Costituente delle dieci provincie, Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna, Pesaro e Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli, Perugia, Spoleto. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 270.

59 Avviso a stampa del presidente dell’assemblea dei deputati delle Provincie Unite Italiane, Bologna, Tipografia Sassi, 15 marzo 1831. ASCL. 1814-1831. Sezione risorgimento. Busta 2. 60 Nato a Reggio Emilia nel 1777, generale di divisione napoleonico, poi al servizio austriaco, morto nel 1863. 61 Era arrivata a Parma il primo di marzo dove attendeva l’ordine di proseguire verso Bologna. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 261. 62 Johann Philipp von Frimont, nato in Lorena nel 1759, feldmaresciallo austriaco morto a Vienna il 26 dicembre 1831. G. Garollo, Dizionario biografico, cit., I, p. 862. 63 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit., p. 104. 64 Giuseppe Grabinski, nato nel 1767, ex generale lituano al servizio napoleonico, stabilitosi a Bologna, nel 1831 nominato comandante la Divisione di Bologna, vi morì nel 1835. G. Garollo, Dizionario biografico, cit., I, p. 962. La critica situazione nelle Legazioni, mentre il grosso dei combattenti era impegnato nella irrealizzabile impresa di conquistare Roma, non poteva essere risolta con le sparute truppe volontarie rimaste. 65 ASCL. Busta 228. Atti consigliari 1830-1834. Busta 20. G. Natali, La rivoluzione, cit., p. 115: «Si dicono entrati alcuni feriti tedeschi, i quali si sono battuti con le Guardie Nazionali fra Lugo e Ravenna». 66 G. Natali (a cura di), La rivoluzione, cit., p. 112. 67 C. Spellanzon, Storia del risorgimento, cit., p. 446. Dizionario delle battaglie, Milano, Mondadori, 1966-1968, p.420; G. Bottoni, I casi di Rimini dopo la rivoluzione del 1831, «Rassegna Storica del Risorgimento», a. I, fascicolo II (marzo-aprile 1914, pp. 235-260: 235. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 278.

68 G. C. Mengozzi, Figure e vicende del Risorgimento, in L. Lotti (a cura di), «Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni», Rimini, Ghigi, 1978-1980. I, pp. 80-81. 69 Convenzione di Ancona. C. Spellanzon, Storia del risorgimento, cit., pp. 452, 454. 70 C. Spellanzon, Storia del risorgimento, cit., p. 441. P. Zama, La marcia, p. 57. 71 P. Zama, La marcia, cit., pp. 207, 216; P. Dalla Torre, Materiali per la storia dell’esercito pontificio, «Rassegna Storica del Risorgimento», a. XXVIII (1941), fasc. I, p. 58; C. Spellanzon, Storia del risorgimento, cit., II, pp. 441, 452, 477. La necessità di controllare il territorio avevano ridotto la forza armata destinata a conquistare Rieti a non più di 1.000 uomini e due cannoni. 72 Dai documenti ufficiali risulta che solo quattordici volontari lughesi raggiunsero Rieti e, a quanto sembra, rientrarono tutti incolumi. Da Bagnacavallo risulta un volontario, da Fusignano 7, da Massa Lombarda 12. Probabilmente la compagnia della Bassa Romagna che combattè nella Vanguardia Nazionale fino alla resa non contava più di 40-50 militi. G. Bottoni, I casi di Rimini, cit., p. 237. «La notte del 31 marzo passavano per Rimini i reduci della difesa di Ancona, quasi tutti laceri e seminudi resi tali oltre che dai tedeschi, anche, e specialmente, dai contadini». A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 279. 73 L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit., p. 246. «Tale corpo riuscì costituito in maggior parte di persone spregevoli ed oziose che commettevano ogni sorta d’insolenze e di prepotenze, e si premettevano di fare arbitrarie perquisizioni in quelle case che sapevano o sospettavano abitate o frequentate di liberali».

74 I volontari pontifici di ispirazione sanfedista, detti centurioni, furono organizzati sin dal 1830 da Giovanni Battista Bartolazzi con il beneplacito dell’allora segretario di stato cardinal Bernetti. Il corpo fu riformato il 1 giugno 1833 e dotato di apposita uniforme. Sciolto nel 1847 da Pio IX i suoi componenti confluirono, in parte, nella nuova istituzione della Guardia Civica. I Centurioni, per il fatto che fossero sprovvisti di uniforme, erano soprannominati «briganti» dai liberali. L’Italia del popolo, Losanna, 1850, II, pp. 93-98; M. Borea, L’Italia che non si fece. Genesi di una Nazione. Storia d’Italia dal 1815 al 1870, Roma, Armando, 2013, pp. 46-47, 73; G. C. Mengozzi, Figure e vicende, cit., p. 87: «[...] come se non fosse stata sufficiente la condizione di disagio morale, la istituzione di un Corpo di Volontari Pontifici nelle Legazioni esasperò gli animi. Lo scopo palese era quello di domare i nemici del potere temporale, quello occulto era di non lasciarsi sfuggire nulla che riguardasse i cospiratori. Favoriti da speciali esoneri finanziari, ingaggiati dai preti, frati e parroci, specialmente di campagna, raggiunsero sollecitamente il numero di 50.000, e furono il terrore della popolazione per gli eccessi, le violenze e i delitti compiuti impunemente». 75 Alla gioventù italiana. Discorso, Italia, 1847, pp. 59-60, 76. 76 Tribunale Supremo della Sagra Consulta Illustrissimo e Reverendissimo Monsig. Cesare Lippi giudice relatore. Lugo di più delitti contro Amadei Giuseppe, Bassi Domenico, Bedeschi Domenico, Bernardi Antonio Berti Francesco, Borghesi Antonio, Castelli Paolo, Centolani Salvatore, Compagnoni Luigi, Crispi Giovanni, Donati Matteo, Ferretti Giovanni, Foschini Celeste, Gherardi Paris, Guerra Pietro, Martoni Antonio, Mongardini Serafino, Morandi Agostino, Moroni Giuseppe, Olivieri Sebastiano, Orioli Giovanni, Rossi Battista, Terziani Girolamo, Turricchia Giuliano, Verlicchi Francesco, Zaganelli Pietro, Zaini Giuseppe. Ristretto fiscale, Roma, Nella Stamperia della Rev. Cam. Apost., 1833, p. 12.

77 La famigerata Sagra Consulta. Addirittura le sentenze non erano pubbliche, ma segrete, nel caso di Borghesi e Bernardi giustiziati in piazza a Lugo l’11 luglio 1835, la condanna a morte venne loro notificata poche ore prima dell’esecuzione. La battaglia legale nei tribunali a quel tempo era una lotta impari, in barba alle più elementari regole del diritto. 78 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. «Ai popoli delle Legazioni. Memorandum». Avviso a stampa senza note tipografiche, «Dalla Bassa Romagna li 5 dicembre 1831». 79 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Manifesto a stampa datato Lugo 10 dicembre 1831. Tipografia Melandri. I presenti al processo verbale furono per Lugo Giovanni Paolo Azzaroli, Cosimo Pignocchi, Pietro Manzieri, Lorenzo Bolis, per Fusignano Giuseppe Monti e Giacomo Santoni, per Cotignola Stefano Testi e Luigi Grilli, per Bagnacavallo Paolo Gajani, Lodovico Tallandini, Gajano Gajani e Francesco Berardi, per Conselice Giovanni Fiacchi, Marco Magni e Filippo Garbesi, per Massa Lombarda Giuseppe Venturini Pilani, Luigi Torchi e Luigi Martoni, per Sant’Agata Giacinto Ricci, Domenico Morandi, Nicolino Emidio Azzaroli e Domenico Bianchi.

80 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Notificazione del pro-legato Carlo Arrigoni, Ravenna 11 dicembre 1831, Ravenna, Tipografia Roveri. «Le Comunità di Lugo, Bagnacavallo, Massalombarda, Fusignano, Cottignola, Conselice, e S. Agata sono fin d’ora provvisoriamente [...] poste sotto la dipendenza e tutela della Legazione di Ravenna». L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit., pp. 237-238, 241. Il distacco dal ferrarese della Romandiola durò poche settimane: dall’11 dicembre 1831 al 22 febbraio 1832. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 346. 81 Giuseppe Andrea dei principi Albani, nato nel 1750, dal 1801 cardinale, segretario di stato, morì a Pesaro nel 1834. G. Garollo, Dizionario biografico, cit., I, p. 37. 82 L. Pázstor, L’intervento austriaco nello Stato Pontificio nel 1832 e i cardinali Albani e Bernetti, «Studi Romagnoli» VIII (1957), p. 529; G. C. Mengozzi, Figure e vicende, cit., p. 83. 83 L. Pázstor, L’intervento austriaco, cit. p. 540. 84 Circolare n. 5673 del pro-legato Asquini da Ferrara il 16 luglio 1831 al Gonfaloniere di Lugo in cui viene comunicata la partenza delle truppe austriache il 15 luglio e l’«intiera amnistia a tutti que’ disgraziati che si contaminarono nei passati sconvolgimenti [...] ad eccezione di picciol numero de’ più compromessi [...]». ASCL. Sezione risorgimento. Busta 2. 85 P. Zama, La marcia, cit., p. 73. 86 Circa le 21 di sera. 87 Pietro Giordani era un partigiano del governo del papa e molto probabilmente era un volontario pontificio (centurione), passata la bufera rivoluzionaria, come tanti altri, credeva di essere al sicuro dopo la restaurazione dell’autorità pontificia e dalla garantita impunità. 88 Nato nel 1804, fratello del più famoso Silvestro. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 51.

89 In seguito condannato dalla Sagra Consulta nel 1833 alla galera in vita. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 15. 90 Nato nel 1810, in seguito condannato dalla Sagra Consulta alla galera in vita, poi esiliato in Brasile nel 1837. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 38. 91 Tribunale Supremo [...]. Ristretto fiscale, cit., pp. 15-29. 92 Nato nel 1803, fornaio. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 90.

93 Cordaro, ex militare napoleonico, in seguito condannato alla galera in vita dalla Sagra Consulta nel 1833. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 96. 94 Nato nel 1808, in seguito condannato dalla Sagra Consulta nel 1833 alla galera in vita. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 71. 95 Tribunale Supremo [...]. Ristretto fiscale, cit., pp. 30-46. 96 Nato a Bagnacavallo nel 1788, ex militare napoleonico, fuggito in esilio a Corfù preso parte alla spedizione dei fratelli Bandiera venendo fucilato a Cosenza nel 1844. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 109. 97 Nato nel 1801, canepino, condannato a morte dalla Sagra Consulta, sentenza eseguita in Roma l’11 luglio 1835 lo stesso giorno delle sentenza capitali di Lugo. A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 214. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 71. 98 Nato a Lugo nel 1812, fuggito a Corfù, nel 1844 prese parte alla spedizione dei fratelli Bandiera venendo fucilato a Cosenza. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 83. 99 Nato a Castel Bolognese attorno al 1797, vetturale residente in Lugo, condannato alla pena di morte eseguita l’11 luglio 1835 nella piazza di Lugo assieme ad Antonio Bernardi. A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 214. 100 Canepino, condannato a morte dalla Sagra Consulta e giustiziato a Lugo l’11 luglio 1831. A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 214. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 24.

101 Tribunale Supremo [...]. Ristretto fiscale, cit., pp. 47-133. 102 Lettera dell’11 settembre 1831 da mittente ignoto indirizzata a Giambattista Emaldi residente a Roma. Collezione privata. 103 Lettera del 3 ottobre 1831 da mittente ignoto indirizzata a Giambattista Emaldi residente in Roma. Collezione privata. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 335. «Saputo che da Ferrara si è mossa per Argenta una colonna di 80 uomini di truppa, muove da Lugo una banda rivoluzionaria armata, guidata da Pietro Morandi, Ambrogio Mariani ed Antonio Melandri e ritira e distrugge il passo di Reno a Bastia, scarica fucilate sull’argine di Reno al passetto Cavedone, e spinge avamposti a cavallo alla Celletta». 104 Nato nel 1805, possidente, condannato a 20 anni di carcere, prese parte allo scontro armato alla Bastia il 20 gennaio 1832. Morto nel 1878. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 26. 105 Nato nel 1778, avvocato, prese parte anche ai moti del 1848. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 35.

106 ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. Il personaggio cui era diretta la lettera purtroppo è rimasto sconosciuto, nonostante la ricerca archivistica. 107 In una lettera di Antonio Melandri alla magistratura di Lugo datata 10 novembre, si evince che i volontari lughesi presenti alla Bastia erano 16. ASCL. Sezione risorgimento. 1814-1831. Busta 2. L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit. p. 238. 108 Nato a Lugo nel 1762 e morto nel 1846, sposò la nobile istriana Felicita Pola imparentata con la Casa d’Austria. Fu podestà di Lugo durante il periodo napoleonico, nonno del patriota Giulio. 109 Non si tratta del nostro famoso concittadino, ma di un omonimo. 110 Strozzi Bianconi Antonio, possidente, nato nel 1805, morì nel 1864. N. Cani, A. Curzi, La Bassa Romagna, cit., p. 90. 111 Dovrebbe trattarsi di Lorenzo Samaritani, padre dei patrioti Giovanni Battista e Vincenzo. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 86.

112 Canepino, condannato alla galera in vita, poi esiliato in Brasile nel 1837. Rientrato in patria per l’amnistia del 1846, prese parte ai moti del 1848. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 37. 113 Nato nel 1809, cappellaio. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 23. 114 Nato nel 1812, calzolaio, prese parte ai moti del 1848. 115 Tribunale Supremo [...]. Ristretto fiscale, cit., pp. 141-169.

116 G. Bottoni, I casi di Rimini, cit., p. 258. La truppa pontifica era giunta in Rimini l’11 gennaio precedente. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 360. 117 A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 362. «Dopo una notte freddissima, i romagnoli, distesi sui colli attorno a Cesena dal monte della Madonna, alla villa Neri, alla strada del Cesenatico, vedendo avanzarsi dalla parte di Rimini i pontifici, li ricevono a cannonate, male dirette ed innocue. Dopo non breve esitazione i pontifici (4000 circa con 300 uomini a cavallo e 10 cannoni) attaccano tutte le posizioni dei liberali che per quasi tre ore difendono le posizioni, prese alla fine dai pontifici, che saccheggiano il monastero ed il santuario della Madonna del Monte, la villa Neri, il sobborgo di Porta Santi ed entrati in cittàvi commettono fino a tarda notte violenze uccidendo, ferendo, danneggiando26 persone e famiglie, e spingendosi fino al Ronco verso Forlì». 118 G. C. Mengozzi, Figure e vicende, cit., pp. 83-84. «Il 1832 iniziava con l’avanzata delle truppe papali su Cesena ove il 20 gennaio a mezzogiorno si scontravano con le squadre liberali dei patrioti che, inferiori di numero e mal diretti, furono costretti a ripiegare dentro la città, raggiunta sollecitamente dai pontifici superiori di numero e di mezzi. A Cesena, abbattute le porte, penetrarono nella città commettendovi profanazioni, ferimenti, rapine, e distruzioni d’ogni specie». 119 L. Pázstor, L’intervento, cit., p. 544. 120 G. A Soriani, Storia della origine fondazione e dominanti della Terra di Fusignano di Giuseppe Antonio Soriani fusignanese, Lugo, Melandri, 1845, pp. 120-121. [...] Monsignor Asquini da Ferrara si diede ad assoldare truppe per la Romagna: pervenute in Argenta presero quartiere, essendo accorsi da Bologna e da Lugo non pochi armati, per impedire il passo del Po di Primaro. Altra buona mano fu spinta sopra Rimini; e la sorte delle Legazioni divenne peggiore della prima rivolta [...] Nel 25 Decembre gli Ufficiali delle Guardie si assembrarono ad un secondo Congresso tenutosi dai Deputati di Bologna, Ravenna e Forlì, riprovato perché ritenuto lesivo alla Sovranità del Pontefice. La colonna de’ Pontifici in Argenta, forte di seicento uomini fra soldati di linea, carabinieri, e finanzieri, comandata dal colonnello Zamboni nel 20 Gennajo 1832 mentre ancora annottava, varcò il passo sul Primaro, fugando l’oste nemica formata da ottanta sollevati, fece ventisei prigionieri; e nel giorno 22 entrò francamente in Lugo. 121 Menrad von Geppert, nato a Leibnitz nel 1767, morto nel 1855. G. Garollo, Dizionario biografico, cit., I, p. 901. Già protagonista dello scontro armato di Rimini i,l 25 marzo 1831. Dizionario delle battaglie, cit., p. 421.

122 Nato nel 1807, possidente, dopo l’esilio in Svizzera rientrò in patria dove partecipò al moto delle Balze nel 1845. Capitano nel Battaglione del Senio nel 1848. Erroneamente viene indicato che fu ucciso alla Bastia durante il combattimento del 20 gennaio. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 78. 123 A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 208. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 362. L. Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, cit., p. 243. 124 Il famigerato generale Johann Joseph Wenzel Radetzky, nato in Boemia nel 1766, partecipò alle guerre napoleoniche, feldmaresciallo austriaco, comandante supremo delle truppe austriache nel 1848-49 in Italia, duca di Custoza, morì a Milano nel 1858. G. Garollo, Dizionario biografico, cit., II, p. 1606. 125 P. Dalla Torre, Materiali per una storia dell’esercito pontificio, cit., p. 59. A. Comandini, L’Italia, cit., III, p. 362. 126 Notificazione del cardinale Giuseppe Albani datata 27 gennaio 1832, Imola, Tipografia Galeati. 127 L’avvocato Morroni Governatore Distrettuale di Lugo. Notificazione in data 23 gennaio 1832. Lugo Tipografia Melandri. L’ispettore Giovanni Azzaroli era delegato al ritiro delle «armi da fuoco, da taglio, da punta, e cioè fucili, carabine, tromboni, pistole, bajonette, sciabole, spade, squadroni, stili e stocchi». 128 Agli Abitanti della Romagnola Estense. Notificazione del conte Fabio Asquini, Ferrara, Tipografia Bresciani, 29 gennaio 1832. 129 Notificazione in data del 5 febbraio 1832 dal Palazzo Apostolico di Bologna. Bologna, Tipografia Sassi.

130 Notificazione del pro-legato Fabio Asquini in data 19 settembre 1832, Ferrara, Tipografia Bresciani. 131 ASCL. 1832. Militare. Busta 21. Nota in data 12 aprile 1832. Per diversi mesi un nutrito contingente di cavalleria e fanteria pontificia stazionerà nella caserrma di San Domenico e di San Francesco. 132 Processo terminato con la condanna a pesanti pene detentive e poi nell’esilio in Brasile. Tribunale supremo della Sagra Consulta Illustrissimo e Reverendissimo Monsig. Cesare Lippi giudice relatore. Lugo di più delitti contro Castelli Paolo Fabro detto Melda di Lugo, Bedeschi Domenico Canepino detto Mingone, Toschi Francesco Orefice detto Toschino, Olivieri Sebastiano Sartore detto Gargano, Lattuga Ferdinando Fabro, Biancucci Gaetano Calzolajo detto Orfanello, Gherardi Paris Fornaro detto Parisino, Centolani Salvatore Calzolajo detto il figlio del Gobbino, Cerroni Gaetano Pettinaro detto il figlio della Tiberia, Capra Filippo Calzolajo detto Carlone delle Suore, Bianchi Giulio Possidente (Tutti Carcerati), e Spagnoli Ferdinando detto Spagnoletto contumace. Ristretto del processo informativo, Roma, Nella Stamperia della Rev. Cam. Apost., 1833. 133 Nato nel 1801, fu poi rilasciato in libertà provvisoria. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 36. 134 Nato nel 1807, prese parte alla Vanguardia del Sercognani e allo scontro armato della Bastia, condannato alla galera a vita poi esiliato in Brasile nel 1837. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 22. 135 Nato nel 1809, orefice, prese parte alla Vanguardia del Sercognani e allo scontro armato della Bastia, venne condannato a 20 anni di galera, poi esiliato in Brasile nel 1837 dove combattè tra i patrioti della Repubblica Bahiense. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 93. 136 Nato nel 1806, prese parte alla Vanguardia del Sercognani e poi allo scontro armato della Bastia. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 56. 137 Nato nel 1808, calzolaio, condannato a 20 anni di galera, in seguito esiliato in Brasile nel 1837. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 26. 138 Nato nel 1813, fornaio, condannato a venti anni di galera, poi esiliato in Brasile nel 1837 da dove rientra nel 1846 per l’amnistia di Pio IX. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 51.

139 Nato nel 1806, calzolaio, condannato a venti anni di galera, poi esiliato in Brasile nel 1837. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 36. 140 Nato nel 1809. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 36. 141 Nato nel 1808, nel 1848 caporale del Battaglione del Senio. Fu consigliere comunale. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 96. 142 N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 33. 143 Tribunale Supremo[...]. Ristretto informativo, cit., pp. 3-4. 144 Gendarme della Guardia Civica, giustiziato a Lugo l’11 luglio 1835. A. Poggiali, Storia di Lugo, cit., p. 214. N. Cani, A. Curzi (a cura di), La Bassa Romagna, cit., p. 24.

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