- Norino Cani
UNA MEMORIA SUI FATTI DI LUGO DEL LUGLIO 1796
Aggiornamento: 12 set 2020
Norino Cani - Pubblicato nel 2013
Il settecento fu per l’Europa e l’Italia un secolo di crisi politica, prima con le guerre di successione europea, poi con l’espansione rivoluzionaria francese. Certo è che la pianura padana mai, fino a quel fatidico 1796, aveva visto un tale frenetico susseguirsi di battaglie, ripiegamenti, sollevazioni popolari e saccheggi; una guerra combattuta dalle truppe transalpine letteralmente a passo di carica, dalle Alpi Marittime alle legazioni di Romagna fin oltre l’Adige, tutto nel giro di soli sette mesi. La popolazione di Lugo di Romagna come mai era accaduto in passato, se si eccettua la distruzione del borgo da parte dei faentini nel 1218, visse direttamente quei momenti travagliati. Un “accesso medievale di ire guelfe e ghibelline contro i nemici della Chiesa e dell’Impero” (1) porterà, tra il 5 e il 7 luglio di quell’anno, alla resistenza armata ed al conseguente sacco. Il tema del moto antifrancese di Lugo è già stato ampiamente trattato (2) molti storici, però, hanno tralasciato alcune fonti documentarie, falsando in tal modo la comprensione dei fatti giungendo ad una narrazione non veritiera di quanto avvenuto in quei giorni. La seguente ricerca vuole essere una rivisitazione di quell’evento, un approccio più tecnico e ragionato, correggendo le imprecisioni e le discordanze di quanto scritto sull’argomento proponendo, nel contempo, la memoria inedita conservata nell’archivio privato Bolis-Tamburini (3) che, se in linea di massima concorda con altre cronache del tempo, contiene interessanti aspetti riferiti in special modo alle ore antecedenti il sacco svelando momenti fino ad oggi sconosciuti. Se questa cronaca è stata citata nelle bibliografie non è mai stata, però, attentamente valutata nella sua importanza essendo l’unica scritta da un testimone diretto, al contrario di quelle compilate da Tommaso Baldrati (4) e Vincenzo Polzi. (5) Una rilettura di quella vicenda che fu tra le pagine più drammatiche della storia di Lugo, una cittadina che la fertilità della terra e la secolare laboriosità dei suoi abitanti avevano elevato al rango di capitale della Bassa Romagnola, centro di floridi commerci, fiere e mercati, perno di un volano economico che l’inaspettata venuta dello “straniero” - per giunta avido di denari - mise improvvisamente in crisi con tutte le conseguenze del caso, associando alla requisizione delle armi e alla richiesta di contribuzioni forzose, anche la requisizione dei beni preziosi appartenenti sia ai privati che ai luoghi di culto.
Fù nel dì 23 Giugno pubblicato in Lugo, editto per ordine della Municipalità di Ferrara, e con consenso del Generale Robert, che in termine di 24 ore dagli abitanti del paese, e da quelli della campagna si dovessero portare, e depositare in luogo determinato, tutte le armi da taglio, e da fuoco, ed esigliare tutti li forestieri. Li 27 Giugno fù emanato altro editto portante la restituzione delle armi. Questo fù il passo irregolare che diede purtroppo modo all’ammutinamento, che accadde in Lugo, e di cui si parlerà più avanti. Si pubblicò altro proclama, col quale si chiamarono tutti gli ori, e gli argenti, a riserva de’ soli necessarj all’uso giornaliero del culto, il che si riduceva a pochi calici, una piscide, e non altro. Quattro furono le persone deputate dal Magistrato d’allora per questa raccolta, nel numero delle quali, ebbi luogo anch’io [...] Nella mattina delli 30 giugno, di buon’ora giunsero in Lugo il Co. Cremona, ed il Dr. Scutelari, ambo di Ferrara, e spediti da quella Municipalità per sollecitare lo sborso della tangente contribuzione, che spettava a Lugo (riparto però fatto senza l’interpellazione della Bassa Romagna, ed eccessivo secondo il consueto con questi paesi), e levare almeno quella porzione di denaro, e di argenti, che si fossero radunato nel sud: luogo destinato, cioè nel Collegio. (6)
I denari estorti misero a rischio di bancarotta tutte le attività commerciali e, di conseguenza, il tenore di vita della popolazione; la sottrazione del busto argenteo di S. Ilaro fu solo il casus belli dell’intera vicenda e i ripetuti richiami del vescovo di Imola Barnaba Gregorio Chiaramonti, il futuro Pio VII, non trovarono ascolto.
...un nuovo editto pubblicato nella stessa mattina, col quale si chiedevano di nuovo gli ori, e gli argenti, con non escludere nemeno le fibbie da scarpe, ne gli orecchini delle donne, produsse una sensazione tale in tutti, ma particolarmente nel popolo, che ogn’uno incominciò, con ragione a dubitare, se prospera, o nò potesse essere la libertà, che venne proclamata da’ conquistatori; vedendo levata con questa requisizione alla loro Patria una delle principali risorse: sentiva io pure la verità di tutto ciò, ma vedevo ben’anche, che il migliore partito era quello di obbedire, anziché tentare una rivoluzione [...] ma tutto ciò non poteva aver luogo nel basso popolo, il quale nella stessa mattina incominciò ad insultare da principio il servitore, delli Cremona e Scutelari, ed avrebbe anche offeso questi, se non si fossero tutti nascosti, cioè il primo nel Convento di S. Domenico, ed il secondo in Casa del Co. Rossi suo antico amico: essi però fugirono nella notte essendo uno di loro vestito da Domenicano, e l’altro attraversando la campagna. (7)
La popolazione è ormai in fermento e rivoltosi armati si impadroniscono del potere esautorando la magistratura cittadina.
Il motivo per cui il popolo cominciò dunque a far rumore, fù la richiesta della contribuzione, ed ebbero luogo gli insulti contro li sud.i tre ferraresi anche per avere la cocarda francese, cosa ancora ignota a Lugo. Circa le 23 1⁄2 italiane (8) il fermento popolare crebbe, a segno tale, che non pochi, e particolarmente una ventina di essi (essendosi impadroniti di venti fucili stati depositati il giorno avanti in una botega, e che avevano servito a mantenere il buon’ordine nelle restituzione delle armi) si portarono verso la Rocca per impadronirsene; ma un altro pensiero venne loro in mente, o gli fù suggerito, e fù quello di impadronirsi degli argenti, e denaro, che era depositato nel Collegio per la requisizione, che attualmente si stava facendo, col pretesto di impedirne la estrazione a favore de’ Ferraresi, o Francesi; che anzi sicome li Carmelitani frà li loro Argenti avevano anche portato il Busto di Argento di S. Illaro protettore del paese, volle il popolo, che questo fosse processionalmente rimesso da Padri del Convento al suono delle campane della loro Chiesa. Nel seguente giorno, avendo veramente ritrovato poco coraggio nel Magistrato, chiesero le bandiere delle milizie a piedi, e dissero più di volere pane, e vino: tutto gli fù accordato, e fù in allora, che il fermento crebbe, e molti si unirono ai primi: nell’imbarazzo in cui ritrovavasi la magistratura, chiese in soccorso il consiglio di alcuni de’ suoi concittadini, frà quali ebbi luogo io pure, ne potei esimermi di fare conoscere al Magistrato, che troppo aveva ceduto della sua autorità, e che purtroppo credevo difficile il potere rimettere il popolo nell’ordine primiero. Mentre si stava seriamente parlando sulla critica situazione del paese, vidimo arditamente entrare una truppa di costoro armati di Fucile, pistole, e sciabole, e chiedere il permesso di fare stampare un’editto eccitante non solo il popolo del paese, e suo territorio, ma ben anche li luoghi vicini, e per sino le intere provincie dello Stato Pontificio. Si fece loro riflettere, che li Francesi erano stati ovunque vincitori, e che irritati per ciò dall’audacia di un piccolo paese, avrebbero portato tutta la loro forza, e furore sopra la Patria Comune, ma tutto fù superfluo, dovette il Magistrato permettere la stampa dell’editto. (9)
Eletto a capo dei rivoltosi un tal Mongardini, i rivoltosi dopo aver stampato l’editto per chiamare alle armi i cittadini e i paesi circonvicini, inviano a Roma Matteo Manzoni quale emissario per chiedere aiuto e consigli al pontefice e nel frattempo lungo la via invitare le altre città dello stato pontificio a sollevarsi contro l’invasore. La sua ambasceria non ha alcun risultato anche se all’inizio il cardinal Borgia è favorevole all’insurrezione.
Che ne dicesse il S.r Matteo nel suo ritorno la sua missione non ebbe alcun esito, come gli effetti lo dimostrarono. Io seppi posteriormente e con sicurezza, che il solo Card.le Borgia, cui il Manzoni si diresse da principio, fù elettrizzato da questo sentimento de’ Lughesi, e sebbene fosse uno de’ Cardinali più dotti, in questo incontro non rimarcò certamente quello che doveva pure prevedere in una rivoluzione senza un degno capo, lontana dall’antico Sovrano, ed in braccio alle vincitrici armi del nuovo conquistatore. Non così pensò il S.r Card.le Secretario di Stato quale assicurò il Manzoni essere superfluo che si portasse dal Papa per questo motivo, mentre non avrebbe giammai potuto lodare questo passo troppo irregolare, e di difficilissima riuscita.(10)
Come mediatore inviato dal cardinale-vescovo di Imola Gregorio Barnaba Chiaramonti, che era in stretto contatto con il generale Augerau, arriva intanto a Lugo la domenica 3 luglio il barone Giuseppe Cappelletti (11) che tenta, ma senza risultato di calmare la popolazione per cui, nella stessa giornata, circa alle 21, deve fuggire a Faenza, nel momento in cui si sparge la falsa notizia che un corpo francese sta procedendo su Lugo:
Incontanente al suono incessante delle campane chiudevansi porte e botteghe: i cittadini armati uscivano impetuosamente da ogni dove, e per piazze e contrade correndo e minacciando far macello de’ nemici tutto empievano d’armi, di strepito, di confusione; la quale era grandissima, specialmente presso la porta del Ghetto per dove dovevano entrare i repubblicani. Obbligavansi gli abitanti ad illuminare la terra e stavasi in diligentissima guardia fino oltre la metà della notte. (12)
Giannantonio Bolis coinvolto in prima persona negli eventi tra il 3 e il 4 luglio così scrive nelle sue memorie
Nello stesso giorno un’ora circa dopo la partenza del Barone Cappelletti, cioè poco dopo le ventiquattro ore Italiane, uno de’ posti avanzati recò la nuova, che veniva un Corpo di Francesi dalla parte di Imola, e che era stata spedita la nuova da un Lughese, o da alcuni si disse recato da uno di Lugo, che a questo effetto era stato spedito in Imola. All’annunzio di questo supposto arrivo de’ Francesi, mi ritrovavo io nella strada comunemente detta di S. Maria col s.r Tommaso Tellarini, e col Co. Pier Maria Corelli parlando appunto delle vicende accorse in quella giornata, quando vidi arrivare frettolosamente uno de’ miei servitori, quale mi significò per parte di mia Moglie di recarmi subito a casa, mentre le truppe Francesi erano vicine alle porte. Ebbi veramente sul momento un forte contrasto di timore, e di amore; temevo nel ritirarmi a Casa, non essendo poco distante, incontrare le truppe, che sogliono essere nel ingresso di tali incontri fierissime, facendo man bassa per incutere un sommo timore, oppure vedermi senza armi frà il fuoco de’ nostri, e quello de’ Francesi; mi feci nonostante coraggio, e volli tentare di restituirmi a casa per non lasciare la moglie che credevo incinta, in tanta costernazione. Scorsi dunque sollecitamente la detta strada, vedendo tutte le porte delle Case Chiuse, come pure le finestre: non incontrai, che pochissimi armati, quali erano per fino contraffatti nella loro fisionomia: attraversai la piazza nel punto in cui a forza di colpi di fucile da alcuni si rompeva la porta della torre dell’orologio per salirvi e dare campana a martello: furono pure sparati alcuni colpi di fucile, ne so per quale motivo. Finalmente entrai in Casa, avendo ritrovato il resto della servitù, che mi attendeva con ansietà, e colà spedita dalla Consorte. La notte essendosi resa oscura, fù più malenconica per noi: la maggior parte delle persone erasi chiusa in casa, ne si udivano, che grida confuse de’ nostri soli armati, quali si andavano facendo coraggio per ricevere le truppe Francesi. La campana della torre della piazza suonò a martello: finalmente circa la mezzanotte giunse avviso, che le truppe non erano ancora partite da Imola, ed in allora ci raserenammo alquanto. Speravamo nella susseguente mattina, rappresentando agli armati il pericolo, che avevano corso nella notte antecedente, di vederli più facilmente ad ascoltare li riflessi, che loro facevamo tutti tendenti alla particolare loro felicità ed a quella di tutto il paese; ma tutto fù inutile: il numero degli armati, o per dire meglio la confusione, ed il disordine si aumentava di momento in momento. Gli armati erano veramente molti, ne è possibile individuarne il numero a motivo della confusione: erano però generalmente malamente armati, e la maggior parte della campagna non aveva nella massima parte che delle falci, e delle forche. Si erano formati due corpi di guardia nel paese: uno era quello, che è ancora della fiera, e l’altro si fece nel Collegio. Dopo la falsa nuova delli tre Luglio, obbligarono li sollevati tutti a tenere nella notte de’ lumi alle finestre, e ciò dicevano essi per essere a portata di vedere meglio il nemico, e non offendersi frà loro. (13)
Nella tarda mattinata di martedì 5 luglio 1796 un pattuglione, composto da 25 cavalleggeri del 10° reggimento Chasseurs a cheval e da una quarantina di uomini di truppa a piedi, viene assalito dai ribelli sulla strada di Barbiano, mentre si reca a Lugo ad arrestare il tipografo Giovanni Melandri reo di aver stampato il manifesto sedizioso (14) del primo luglio. In quello scontro a fuoco almeno due militari francesi restano uccisi e le loro teste mozzate, portate trionfalmente in città sono esposte sulla balconata del Collegio Trisi.
Nel dì cinque luglio seppesi con precisione, che veniva un corpo di Dragoni Francesi da Faenza. Di ciò avvertiti li Lughesi si portarono in parte fuori di Lugo, e si appostarono verso Barbiano, onde attaccarli: si disse fossero un centinaio circa. Arrivarono di fatto, ma soprafatti da colpi di fucile, che per ogni parte, loro venivano scagliati da Lughesi, sebbene essi pure si battessero cercando sempre di avanzare verso Lugo, dovettero finalmente retrocedere restandone molti morti, e molti feriti: morirono pure due francesi, che erano in un legno da posta, a quali li sollevati tagliarono la testa, ed avendole poste sopra le baionette le portarono in trionfo nel paese, collocandole sopra la ringhiera della fabrica del Collegio: dissero che questi erano due commissarj Francesi.(15)
In una memoria conservata nell’Archivio Parrocchiale di San Severo di Cotignola si afferma che vi fu un altro caduto e un altro soldato ferito che morì il giorno successivo.
Il dì 5 Luglio [...] da Faenza un corpo di 50 trà cavalli [...] ed avviossi alla volta di Lugo. Se ne accorse la plebe ed accorse verso Barbiano, arrivata la [...] francese in quelle vicinanze e sentendo suonare campane all’arme a quella Chiesa, accorse a quella volta minacciando perché si desistesse dal suono qui incominciossi a far alto e si attaccò una zuffa nella quale morirono tre francesi sul fatto ed un altro ferito sopravvisse da 24. ore. (16)
Da questo documento si può ipotizzare che il primo fatto d’armi tra rivoltosi e transalpini non fu in realtà un’imboscata, come sostenuto da Alfonso Lazzari, (17) bensì una leggerezza dei francesi, infatti la truppa fu messa in allarme dal suono delle campane della chiesa di Barbiano che fu ridotta al silenzio, poi proseguì la marcia venendo attaccata poco più di un chilometro dopo, se veramente fosse caduta in un’imboscata improvvisa i morti sarebbero stati molti di più, è probabile che i francesi siano avanzati con circospezione evitando perdite maggiori. Il manoscritto Bolis continua così:
Questa piccola azione militare in cui i Lughesi restarono vincitori, e per cui comisero il fallo di tagliare le sud.e due teste, accrebbe maggiormente più il loro disordine, anziché appigliarsi a più maturo consiglio: scorrevano tutto il paese non che il territorio, come pazzi, e figurandosi già, che le truppe Francesi non si fossero più avvicinate, dopo di avere tagliate le strade principali, onde vietare il passaggio particolarmente della artiglieria nemica, si affaticavano di continuo, non prevedendo, che il loro fisico avrebbe poi finalmente ceduto quando le forze nemiche avessero destramente ritardato la loro venuta.(18)
Viste allontanarsi le possibilità di un accordo il generale Augerau, comandante la divisione francese di occupazione,(19) tenta di intavolare trattative dirette con la comunità di Lugo, ma ritardi ed incomprensioni riguardo la regolarità della rappresentanza impediscono la firma di un accordo, nel frattempo un contingente armato al comando del colonnello Pourailly (20) si mette in marcia da Ferrara per raggiungere Lugo in rivolta. Dopo il primo scontro vittorioso del 5 luglio a Barbiano l’euforia si impossessa della popolazione lughese e quando il 6 di luglio giunge notizia che la truppa comandata da Pourailly viene segnalata ad Argenta: subito una tumultuante e nutrita schiera di volontari armati, che si ingrossa cammin facendo, si fa incontro alla minaccia.
Come al tempo della guerra greco-gotica S. Ilaro di Galeata aveva protetto Lugo e l’Esarcato, così nel luglio 1796 la turba dei rivoltosi lughesi si accinge a contrastare l’avanzata dei “nuovi barbari” perché
confidava nella santità della causa che difendeva e nella protezione di S. Ilaro, che fino allora non era mai venuta meno alla città. (21)
Nel tardo pomeriggio di quel 6 luglio, quindi, il corpo armato franco-ferrarese (22) incamminato lungo la Bastia, arriva nei pressi della Frascata. Poco prima di giungere all’innesto con la via di Passogatto, in corrispondenza della villa dei Manzoni detta «La Palazzina» circa alle 18 e 45 (23), la strada è sbarrata da una barricata e da un fossato appena scavato, ma la truppa francese che era stata preavvisata dell’imboscata dal Governatore di Argenta (24), con una prima scarica di fucileria obbliga i ribelli ad un precipitoso ripiegamento per trovare riparo dietro l’argine sinistro del Santerno. (25)
La truppa francese controlla i movimenti dei rivoltosi tenendosi a debita distanza proseguendo al piede dell’argine cercando la posizione migliore per superare l’ostacolo tentando un accerchiamento della posizione, più volte viene lanciato l’attacco, ma sia al passo delle Morre che a San Bernardino, una tempesta di palle obbliga i transalpini, e i collegati giacobini, a desistere dall’intento. Intanto avanza l‘oscurità ed è giocoforza per i contendenti sospendere il combattimento. Sempre nel manoscritto Bolis si può leggere che:
nella sera delli sei luglio seppesi, che un corpo di circa mille Francesi erano alla Bastia, si inoltrarono nel territorio di Lugo, ma sempre inquietati dal fuoco de’ nostri: essendo poi sopraggiunta la notte il fuoco cessò, e li Francesi accamparono entro, e ne contorni, del Casino del Co. Luigi Rondinelli, detto Bell’aria.(26)
I francesi, pertanto, alloggiano durante la notte nella villa di Bellaria mentre i ribelli presidiano attentamente la riva del Santerno in attesa dell’alba quando riprendono i tentativi francesi di forzamento delle difese. Nessuno parlerà dei giacobini ferraresi, al calar delle tenebre si saranno probabilmente riposati in attesa del giorno per poi ritornare a Ferrara senza prendere parte alle fasi successive degli scontri armati, con Pourailly che si troverà di conseguenza con molti uomini in meno.
Tutti gli storici concordano sul fatto che i francesi perdettero più di duecento uomini, questo però sembra inverosimile, anche Carlo Zaghi nel suo contributo sugli eventi di Lugo, forse condizionato da precedenti e consolidate affermazioni, sostiene che
Il combattimento, lungo e sanguinoso, si trascinò per tutta la notte e si concluse in una vera disfatta pei Francesi [...] Duecento e più morti coprirono il terreno, senza contare i numerosi feriti. (27)
Priva di ogni logica l’affermazione di Alfonso Lazzari secondo il quale i lughesi dopo aver interrotto la strada di Ferrara si sarebbero riparati dietro l’argine destro del Santerno, in quel caso non avrebbero potuto in alcun modo prendere di mira gli assalitori avendo il campo visivo coperto dall’argine sinistro che avrebbe offerto un insperato riparo ai francesi, (28) come non è assolutamente vero che il combattimento proseguì tutta la notte, al buio nessuno dei due contendenti si sarebbe sognato di sprecare munizioni per sparare a vanvera, in secondo luogo se veramente i francesi persero duecento morti - senza contare i feriti - per loro sarebbe stato meglio ripiegare su Ferrara perché avrebbero avuto praticamente dimezzata la loro potenza di fuoco e anche se i rivoltosi non erano degli esperti di arte militare, la superiorità numerica dei lughesi - e la copertura fornita dall’argine – avrebbe messo in seria difficoltà i transalpini. Alle prime luci dell’alba riprende furioso lo scambio di fucileria, ma altri due tentativi di superare la linea di difesa lughese, a Ca’ di Lugo e a S. Agata (29), non portano ad alcun risultato e la contemporanea reazione armata da un casolare mette ancora di più in allarme il comandante francese che, ferito, ritiene troppo pericoloso continuare nell’azione con il rischio di trovarsi isolato nella campagna alla mercè di una possibile sollevazione popolare, per cui decide di ritirarsi dal Santerno e di ripiegare a Massa Lombarda per trovare un poco di ristoro, considerato il caldo, e curare i feriti.
Li sette Luglio all’apparire del giorno si rinovò l’attacco. Era pensiero de’ Francesi di passare il fiume Santerno in qualche luogo, ma ovunque, erano prontamente respinti da Lughesi, che facevano strage de’ medesimi, ora nascosti frà li cespugli del Fiume, ed ora apparendo rapidamente per fare fuoco sulla ripa del medesimo fiume. In quattro luoghi tentò il Comandante Francese di passare il fiume; cioè prima al passo detto delle More, poi dirimpetto al mio Casino della Schiappa, in appresso alla Cà di Lugo, avendo dalla loro parte incendiato una casa de’ Padri Domenicani, ed ucciso li contadini per aver essi veduto dal luogo sud.° un colpo di fucile, che uccise uno de’ loro, tentarono per ultimo di passare dalla parte di S. Agata, ma avendo in tutti questi incontri li Francesi perduto moltissima gente, prese la strada di Massa Lombarda. (30)
Approssimatosi alle porte di Massa il colonnello Pourailly chiede di poter entrare in paese, ma un chierico, Giuseppe Mazzoli, gli fa intendere che vi è nascosto un buon numero di armati, il comandante francese, pertanto, decide di proseguire e di raggiungere il quartier generale di Augerau a Solarolo (31) che, nel frattempo, aveva già ordinato l’attacco a Lugo dalla parte di Barbiano. Nelle successive giornate dal 6 all’8 luglio le versioni sullo svolgimento dei fatti, culminati nel sacco, sono contrastanti e contraddittorie. Tra tutte la più affidabile sembra essere quella di Tommaso Baldrati, mentre la cronaca del Rambelli - posteriore di quasi quarant’anni - è molto vaga, imprecisa e di parte tendendo all’esaltazione delle imprese dei ribelli lughesi.
La colonna francese diretta a Lugo, e proveniente da Imola, per ordine del generale divisionario Augerau, è comandata dal generale Beyrand (32) coadiuvato dal colonnello Arnaud (33) ed è composta dal 1° e 3° battaglione (800 uomini) della quarta mezza brigata di linea (34) e di un distaccamento di cavalleggeri del 10° Chasseurs a cheval (200 uomini). (35) Aggregati alla colonna sono anche due pezzi di artiglieria, probabilmente un cannone da 8 libbre e un obice da 6 pollici, bocche da fuoco servite da 26 artiglieri. L’avanzata francese procede con circospezione verso Lugo per la strada di Faenza, quando tra le 8 e le 9 della mattina del 7 luglio, all’altezza dell’attuale via delle Ripe, poco oltre il casino Bolis, la schiera francese si scontra con i rivoltosi lughesi nascosti nei fossi e dietro le siepi, la truppa retrocede ordinatamente verso il predetto casino Bolis dove si tiene un breve consiglio di guerra tra Beyrand ed Arnaud durante il quale viene deciso di accerchiare gli insorti con due colonne passando da Zagonara ad occidente e da Budrio ad oriente. Guidati da gente esperta dei luoghi - le cronache dicono i contrabbandieri di Castelbolognese - i francesi aggrediscono alle spalle gli improvvisati soldati del Papa che colti di sorpresa, dopo aver lasciato diversi morti (36) sul terreno, fuggono liberando la strada verso Lugo. (37) È molto probabile che lo sbandamento dei rivoltosi sia stato dovuto non solo all’accerchiamento francese, ma anche all’impiego di cannoni caricati a mitraglia che spazzarono le siepi e i canepai dove si nascondevano. Riordinati i ranghi, i soldati di Francia ricominciano l’avanzata, senza resistenza, fino al crocicchio con l’attuale via Lato di mezzo dove si fermano e posizionano le artiglierie. Poco dopo le 10 della mattina del 7 luglio 1796 (38) le bocche da fuoco cominciano a sparare a palla piena contro la porta di S. Maria e a lanciare palle incendiarie sull’abitato. (39)
Circa le ore quattordici italiane (40) dello stesso giorno nel tempo in cui li Lughesi si battevano alla destra del fiume Santerno, sopravenne un altro corpo di ottocento uomini circa [...] Giunti alla distanza in cui poterono usare delle Bombe, e del Cannone, inciendiarono colle prime una casa contigua alla porta di S. Maria, come pure una gran parte della porta di S. Bartolomeo: cadde pure una bomba nella casa del Preposto, e Curato di S. Giacomo, ossia de’ SS.i Petronio, e Prospero; questa non scopiò, e fu ritrovata intatta. Furono tirati varj colpi di Cannone; una palla investì il frontone dela fiera ove era il corpo di guardia, in allora affatto vuoto, ed altra palla entrò in casa del mercante S.r Valentino Rossi, avendo però forato solo il primo muro. (41)
In breve la porta viene scardinata dai colpi e, cautamente, i fanti e i cavalleggeri francesi si inoltrano fino al trebbo di via Cento dove riposizionano l’artiglieria. Scarsamente contrastata dalla fucileria dei popolani la truppa francese, protetta dai cannoni caricati a mitraglia, avanza verso il centro città. Addossati ai muri di via del Corso (via Garibaldi) i soldati transalpini si dirigono verso piazza della Fiera, dove giungono circa a mezzogiorno e, cessata la breve resistenza, iniziano il saccheggio accordato dai comandanti. Gli ufficiali superiori entrati in paese a sacco già cominciato, prendono alloggio nelle case più distinte del Corso, per primo il colonnello Arnaud in casa Cicognini, Beyrand in Casa Tellarini, fino all’arrivo, nella serata del 7, del generale divisionario Augerau e della truppa al comando del colonnello Pourailly.
Verso la sera dello stesso dì sette Luglio arrivò pure proveniente da Bagnara l’avanzo del corpo venuto da Ferrara, che per molte ore erasi battuto svantaggiosamente cò Lughesi lungo il Santerno: la loro voracità si unì a quella de’ primi, e scorsero essi pure tutte le case del paese.(42)
Passata la notte, la mattina dell’otto luglio l’ufficialità e la truppa ripartiranno con le carrette requisite cariche del bottino lughese.
Questo sacco, sebbene dannosissimo per il paese, poteva però essere maggiore: ma due cose secondo me giovarono a Lugo; la prima fù, che la truppa non era infierita, come lo sarebbe stata, se nel suo ingresso avesse sofferto della resistenza, recò anche minor danno, forse per non esserli stato prescritto il tempo, come suol praticarsi di poche ore al saccheggio medesimo, essendo questo durato sino alle ore tredici Italiane (43) del di otto Luglio: alle ore quattordici tutta la truppa improvvisamente ebbe la marcia per Bologna, di dove pure frettolosamente partì alla volta di Mantova. (44)
La memoria termina senza dilungarsi molto sull’entità delle perdite sia francesi che lughesi e ridimensionandole:
Nel paese all’ingresso delle truppe Francesi tre soli furono gli uccisi. Fù il primo un vecchio settuagenario, chiamato Beltramini per essere stato suposto dalli soldati come padre del Mongardini, capo de’ rivoltosi: altro fù un certo Caravita detto Petronazzo, quale si lasciò sorprendere nella sua camera con un fucile carico: e l’ultimo certo Borghini, quale dicesi fosse veduto da certi soldati a scaricare contro di loro il fucile: entrati perciò in casa lo uccisero in letto, ove era, e si disse infermo. (45)
Alfonso Lazzari afferma che i rivoltosi caduti allo scontro del Santerno del 6 luglio (18 messidoro anno IV) furono 17, i caduti alle ripe il 7 luglio circa una ventina, mentre le vittime conseguenti al sacco sarebbero state sei per un totale, quindi di 43 morti (46). Diverso il discorso per quel che riguarda le perdite tra la truppa francese, Lazzari scrive che furono ingenti arrivando alla cifra, iperbolica, di 220-250 uomini, ovviamente senza contare i feriti, (47) ma i resoconti ufficiali francesi sono più precisi: durante i fatti di Lugo dal 5 al 7 luglio 1796 caddero 13 soldati francesi e il tenente Eustache, 18 furono i feriti tra truppa e sottufficiali, feriti anche il colonnello Pourailly, il capitano Dautun e il tenente Chausson. (48) Più verosimile, quindi, la cifra totale di circa 40 tra morti e feriti tra i francesi e circa 60 tra i lughesi. Gli effetti dannosi sulla condizione economica di Lugo si protrarranno per diversi anni trovando un equilibrio solo dopo la proclamazione della Repubblica Italiana nel 1802. La caduta del napoleonico Regno d’Italia e la successiva carestia dell’inverno 1816 riporteranno la popolazione ai difficili momenti dell’estate del 1796.