- Norino Cani
NOTE SULL’IMPRESA MILITARE DI GIOACCHINO MURAT NELLE LEGAZIONI DI ROMAGNA 29 MARZO – 24 APRILE 1815
Aggiornamento: 12 set 2020
Testo riveduto e corretto di una ricerca pubblicata nel novembre 2015.
Il secondo decennio del secolo XIX fu per la Romagna uno dei periodi più drammatici della sua storia superato solo dall’epidemia colerica dell’estate 1855. A dicembre 1813 con l’occupazione austro-britanna e, in seguito, con il ritorno del governo pontificio, la Romagna ebbe a sopportare anche le devastazioni causate dalle truppe napoletane durante la campagna militare della primavera del 1815. L’anno successivo la popolazione, già duramente provata da quegli avvenimenti, dovette subire la terribile piaga della carestia, il 1816 viene infatti ricordato come “l’anno senza estate”. Nell’aprile 1815 era esploso il vulcano Tambora in Indonesia e l’enorme quantità di ceneri proiettate in atmosfera aveva causato una drastica riduzione dell’irraggiamento solare, tutto il pianeta andò incontro ad un netto peggioramento delle condizioni climatiche, una “piccola età glaciale” che si protrasse per alcuni anni portando fame, epidemie e scardinando il delicato equilibrio socio-politico nato dal congresso di Vienna. Per tutta la prima metà dell’ottocento rivolte popolari e rivoluzioni incendiarono l’Europa, quel 1815 fu l’anno della “svolta” per la Romagna e per l’Italia. A marzo 1815 il ritorno di Napoleone dall’Isola d’Elba sul suolo francese mise in allarme tutta l’Europa. Gioacchino Murat, ancora re di Napoli in virtù della sua defezione dal campo napoleonico, stimolato dal ritorno al potere del cognato e ormai a conoscenza del fatto di dover rinunciare al trono in conseguenza delle risoluzioni finali del Congresso di Vienna, si avventura in un’impresa guerresca con scarse, se non nulle, possibilità di successo. Una campagna militare improvvisata, organizzata in troppo poco tempo e superficialmente senza i necessari - e indispensabili - appoggi politici e diplomatici e, soprattutto, senza un piano strategico ben preciso (1), anche se è molto probabile che l’azione di Murat sia stata progettata per distrarre sul fronte italiano una cospicua forza austriaca e, nel caso di un’avanzata vittoriosa, operare un congiungimento con le armate francesi neutralizzando un possibile intervento da oriente della Russia. Non esistono, purtroppo, prove al riguardo e Napoleone negò sempre e recisamente ogni coinvolgimento, ma è quantomeno strano il succedersi dei fatti a così breve distanza l’uno dall’altro e la presenza nell’armata napoletana di Girolamo Bonaparte (2). Già in partenza la suddivisione in due corpi, uno procedente dalla Toscana (3) e uno dalle Marche, indebolì oltre misura le potenzialità dell’armata napoletana, oltretutto in inferiorità numerica, che, comunque, non avrebbe certo avuto gioco facile a forzare il baluardo costituito dal Po, una linea insuperabile specialmente in quella primavera piovosa del 1815 (4). Dividere in due l’esercito rispondeva alla giusta considerazione di proteggere i confini settentrionali del Regno di Napoli respingendo verso nord le truppe austriache, in questo modo, però, il corpo d’armata delle Marche - tre divisioni - e quello della Toscana - due divisioni della Guardia -, erano separati non solo dalla catena appenninica, ma anche da un cuneo di consistenti truppe austriache (5) e non sarebbe mai stato possibile il ricongiungimento a Bologna o a Modena in tempo utile. La spedizione di Toscana mancò così al suo scopo: non contribuì al piano di guerra, non diede luogo ad alcuna combinazione militare, né ad alcuna battaglia o combattimento o fatto d’armi, non ebbe un sol giorno di prosperità o di disgrazia (6). Il 13 marzo 1815 l’esercito napoletano viene messo sul piede di guerra e il 15 successivo inizia le ostilità. Il primo corpo, comandato dallo stesso re Gioacchino arriva ad Ancona il 19 marzo (7) e il 29 seguente è a Rimini dove il successivo 30 emana due proclami: quello Agli Italiani e quello Ai Soldati (8). A Cesena, occupata dopo un breve combattimento sostenuto con la retroguardia austriaca in ritirata, la mattina dello stesso 30 marzo viene emanato il proclama Ai Napoletani.
Roma 1 aprile. Altri 15m. uomini di truppa napoletana giunsero nella città di Forlì con ordine di procedere avanti e seguire la prima divisione, ma ricevettero un contr’ordine, e sono retroceduti su Capua. Forlì 1 aprile. Ieri sera vi fu illuminazione generale per tutta la città e si udiva di tratto in tratto viva il Re viva Gioachimo. Questa mattina alle ore 9 e tre quarti circa la S. M. in carrozza con Girolamo Napoleone, qui giunto questa notte, e qualche seguito ha presa la via di Bologna. È continuo il passaggio delle truppe napoletane e dell’artiglieria che a quella volta sono dirette (9). Il primo di aprile entra in Lugo un distaccamento di truppa napoletana agli ordini del maggiore Malczewski, comandante l’avanguardia napoletana, che il giorno successivo assume il comando della piazza dopo aver nominato Giuseppe Manzoni quale organizzatore della Guardia Nazionale (10). [...] Degnatasi S. M. il Rè di Napoli di confidarmi l’incarico di raccogliere tutti i Militari che ritornarono dalle Armate Italiane e quei Volontarj che emular ne volessero l’esempio, io mi faccio un pregio di servire a sì nobile incarico, e di avvertire che l’ufficio destinato a ricevere le prestazioni sarà aperto nella Casa del mio Alloggio situato in via Codalunga al N. Civico 1446 dalle ore nove della mattina alle tre dopo il mezzo giorno. [...] (11). Per facilitare il transito delle truppe verso la piazzaforte di Ferrara, il 2 aprile viene allestito un ponte militare di barche alla Bastia, ma il giorno successivo viene incendiato e distrutto da un’incursione austriaca (12). Il 5 aprile a Forlì verrà pubblicato un altro proclama rivolto Ai Popoli dell’Emilia nell’intento di sollevare i cittadini contro le truppe imperiali. Anche se gli appelli che si susseguono non richiamano schiere di romagnoli sotto le insegne del re di Napoli l’avanzata procede velocemente e, a tamburo battente, vengono ripristinate le vecchie amministrazioni del cessato Regno d’Italia, riattivata la Guardia Nazionale (13), richiamati in servizio i funzionari fedeli e concessi privilegi alla popolazione con l’abbassamento dei dazi. (14)
Il 2 aprile la prima divisione napoletana entra a Bologna (15) da dove, il successivo 4 aprile, un distaccamento di 6.000 uomini, dopo aver occupato Cento, parte (16) alla volta di Ferrara raggiunta la sera del 6 (17). Contemporaneamente l’avanzata prosegue su Modena. Le truppe napoletane incontrano una forte resistenza da parte austriaca sulla linea del Panaro, furiosi e inutili tentativi di passare il fiume provocano ingenti perdite tra le file murattiane fino a che un battaglione, guadato il Panaro verso monte, a Spilamberto, attacca l’ala destra nemica costringendola alla ritirata. A dì 4 procederono, la prima legione verso Modena, la seconda verso Cento, la terza giungeva in Bologna. La prima scontrò il nemico ad Anzola, e, combattendo, lo spinse dietro la Samoggia, quindi dietro al Panàro, fiume che mette in Po, e si valica su di un ponte detto di Santo Ambrogio, allora munito d’opere e di cannoni e di soldati, distesi per lungo tratto della sponda. Giungevano al fiume i napoletani schierati a battaglia. Il generale Carascosa, per sorprendere l’ala dritta del nemico, o per accrescergli cure e pericoli, aveva spedito per vie nascoste un battaglione a Spilimberto [...] prescrivendo al capo che, quando sentisse ardente la battaglia , marciasse sollecito sopra il nemico [...] il battaglione, mandato a Spilimberto, sentito il romore della battaglia, obbediente al ricevuto comando, marciò sopra al nemico, e fu scemato di molti e molti morti o prigioni. [...] I Tedeschi, fuggendo, traversarono Modena; i Napoletani vi entrarono e ristettero (18). A prezzo di notevoli perdite Murat riesce a forzare il ponte sul Panaro. Passati gli Austriaci al di là del Secchia, il Re di Napoli entrò in Modena, ove di nuovo dichiarò guerra all’Imperatore d’Austria. La Divisione Napoletana mandata a Ferrara s’impadronì della Città, non già della Fortezza, che restò sempre in poter dei Tedeschi, poscia corse sulla destra del Po, per effettuarne il passaggio ad Occhiobello, ove gli Austriaci vi avevano costruito un ponte (19). La mossa di prendere Ferrara e la sua fortezza, era necessaria per proteggere il fianco destro dell’armata di Napoli dalla minaccia del presidio di Comacchio e da un possibile attacco dalla parte del Po, in secondo luogo era necessario studiare i possibili punti per guadagnare la riva sinistra del fiume che era già stato messo in difesa dagli austriaci a Piacenza, Borgoforte, Occhiobello e Pontelagoscuro (20). Già nell’autunno 1813, un anno e mezzo prima dell’invasione napoletana, Ferrara aveva vissuto una pagina dolorosa della sua storia. Il 18 novembre di quell’anno (21) truppe inglesi e austriache congiunte sotto il comando del generale Neipperg erano sbarcate nei pressi di Goro e avevano rapidamente occupato Gorino, Magnavacca, Comacchio, Ferrara e Rovigo mettendo in serio pericolo la retroguardia dell’esercito italiano impegnato nelle operazioni militari in Lombardia e Veneto. Il 26 seguente il generale Domenico Pino riusciva dopo un breve, ma intenso, combattimento a far sloggiare gli austriaci da Ferrara. Il successo, però, fu di breve durata: la spinta offensiva delle armate coalizzate riuscì lentamente a penetrare le linee italiane fino all’occupazione di Milano il 26 aprile 1814 (22) decretando la fine del napoleonico Regno Italico che a Lugo era già terminato il precedente 13 dicembre 1813 con l’occupazione austro-britanna del ravennate. Da una lettera dell’8 aprile 1815, forse dell’avvocato ferrarese Zarattini, indirizzata a Giuseppe Ragonesi (23) e pubblicata in forma di manifesto si riescono ad avere molte notizie sul reale svolgimento dell’occupazione di Ferrara (24). Sembrava nei giorni 3 e 4 del corrente che li Tedeschi volessero ritirarsi dalla città, e formare la loro difesa al Ponte di Occhio Bello ove da giorni avevano travagliato in un Forte, ossia testa di Ponte, costruito con tutte le regole dell’arte, munito di 40 cannoni e difeso da 3 m. combattenti, ma cangiarono parere. L’arrivo del Gen. Lajien fu il presagio, e l’operatore delle più affannose angustie. Ordinò che sull’istante la Fortezza fosse provvigionata, e posta in istato di difesa. Quest’ordine che doveva essere eseguito in poche ore portò un quasi saccheggio alla Città; tutti li generi si asportarono dalle case de’ privati, e dai fondachi de’ negozianti. Li soldati di Fanteria, e di Cavalleria proteggevano le requisizioni, intanto che l’Artiglieria della Fortezza montata verso la Città minacciava d’incenerirla se non si prestavano gli abitanti alle loro più indiscrete ricerche. Il credereste! Non si contentarono de’ generi di prima necessità; non di 400 bovi, non di quantità immensa di forme, di salami, di ova, Buttiro, ma vollero a sacchi il caffè, zuccaro, droghe, e persino le confetture, le pomate, l’acqua d’odore, li aranci, oltre infiniti altri generi che il ricordarli annoia ed apporta racapriccio. Il giorno 6 si chiusero, e la sera dello stesso giorno comparvero li Napoletani. Le porte erano chiuse, e le chiavi in Fortezza. Il sig. Negri Colonnello Italiano, che perseguitato, viveva ascoso, fu il primo a presentarsi per sortire, abbatendo le chiavature per mezzo de’ fabbri ferai; volò al Re che si era accampato alla Sammaritana, e sollecitò la di lui entrata in Città. Gioacchino lo nominò tosto Colonnello di un Reggimento di Lancieri, gli affidò varie operazioni e decise l’entrata delle sue truppe che ebbe luogo alle 11 pomeridiane dello stesso giorno sotto un vivo fuoco della Fortezza, ma però senza inconvenienti a nostro danno. Il Re giunse poco dopo, e fece tosto intimare alla Fortezza che se avesse manovrata l’Artiglieria contro la Città li avrebbe fatti passare a fil di spada. Tre intimazioni ebbero sin ora li assediati, ma non vogliono arrendersi che a condizione di trasportare seco loro tutti li generi ed effetti requisiti ciocchè non deve loro accordarsi. Intanto il cannone agisce giorno e notte, le operazioni si avvanzano per batterla e scalarla, e si spera che domani al più tardi seguirà l’operazione. Gli assediati sono in numero di 2 m. poco più senza però 200 e più operai che vi hanno tradotto ed altre persone di servizio forzatamente requisite, tra le quali Cuochi, Trattori, e Caffettieri. Sino da ieri s’incominciò l’attacco del Ponte d’Occhio Bello; le operazioni esteriori sono già prese, e si continua a batterlo vivamente. L’occupazione napoletana di Ferrara continua fino al 13 aprile 1815, otto giorni in cui la Fortezza rimane in potere degli austriaci e i pochi sostenitori di re Murat si danno da fare senza alcun risultato: neppure l’attivazione della Guardia Nazionale, per il rapido succedersi degli eventi, sortisce alcun effetto sull’evoluzione dell’offensiva napoletana nelle Legazioni di Romagna. Giuseppe Tesini, comandante d’armi, l’11 aprile 1815 indirizza un proclama ai ferraresi invitandoli ad accorrere sotto le bandiere napoletane (25). Esorto tutti i vecchi Militari congedati in riforma, e tutti i bravi Cittadini che bramassero concorrere pel bene della causa comune, di presentarsi al Comandante il Deposito d’Arrolamento volontario residente nella Caserma di San Paolo. L’appello resta, però, inascoltato: in pochi si presentano per portare il loro aiuto alla causa dell’indipendenza italiana sostenuta del re di Napoli e dopo sole quarantotto ore, le truppe napoletane devono abbandonare la città con i volontari che non riescono nemmeno a vestire, anche per poco, l’uniforme, o a sparare un colpo di fucile, l’unico risultato di questa scelta di campo sarà quello di finire bersaglio della persecuzione politica. Nel frattempo, nelle giornate successive alla marcia e all’ingresso in Bologna, altri distaccamenti avevano raggiunto Ravenna (26), Reggio Emilia, Carpi e occupato tutto il territorio tra il Panaro e il Secchia (27), la notte fra il 6 e il 7 i napoletani erano anche a Pontelagoscuro e a Occhiobello. L’avanzata, però, ad un certo punto ha una battuta d’arresto (28), inutili e disperati sono i tentativi di sfondare le forti posizioni nemiche da parte dei napoletani, fino al momento in cui, il contrattacco austriaco del 10 aprile minaccia l’accerchiamento della piazza di Carpi e di conseguenza l’intera armata murattiana è costretta a retrocedere su Modena e, in seguito, ad abbandonarla. Notizie Officiali a di 17: Aprile 1815: Provenienti dal Quartier G.le di Reggio li 11: Aprile 1815. I movimenti offensivi dell’Armate Imp.li hanno principiato il giorno scorso. Il Tenente Mag.re Bianchi ha incontrato jeri col corpo d’armata sotto li suoi ordini una numerosa Colonna di Truppa Napoletana presso Carpi. Egli le ha attaccate, e doppo breve resistenza sono state respinte, e i attende da un momento all’altro l’importante dettaglio di questo brillante combattimento. Le truppe Napoletane doppo questi primi avvenimenti si sono accorte di essere state tradite, e perciò sono cadute in gran scoraggimento. Officiali e soldati rimproverano altamente il loro Capo di averli impiegati in una guerra che la riguardano per ogni rapporto come contraria ai loro interessi, ed è perciò che specialmente i detti Officiali consigliano i loro soldati a gettare le armi. Lucca 13. Ap.le 1815. Notizie Officiali Il di 8: Ap.le due divisioni Napoletane attaccarono la testa del ponte d’Occhiobello, e furono respinti con gran perdita. Il di 10 il g.le Bianchi con l’Armata Austriaca battè completamente il nemico a Carpi gli fece 500 prigionieri l’obbligò a ritirarsi lasciando molti morti sul Campo di Battaglia, e si avanzò verso Modena. Il di 11 la n.ra Armata entrò in Modena: la diserzione de Napoletani và notabilmente crescendo. Dal Quartier G.le di Pistoja 13: A.ple (29). Messa in pericolo in tal modo la tenuta di tutta la linea di operazione e vistisi minacciati di accerchiamento i napoletani sono obbligati a ripiegare da Occhiobello su Malalbergo. Il Generale in capo Austriaco, che aveva visto il Re sopra Occhiobello, e che aveva ogni ragione di temere un successo su quel punto, fece sbucare da Mantova per Borgoforte il General Bianchi alla testa di forze considerabili, fece attaccare un battaglione che era a Carpi, e marciò sopra Modena, mentrechè il Generale Stefanini marciava da S. Benedetto sopra Mirandola e Bondeno per forzare il General D’Ambrosio ad allontanarsi da Occhiobello [...] il Generale Rekint riceveva ogni giorno ad Occhiobello rinforzi considerabili, e faceva rinnovare le sue sortite da truppe fresche. Furono esse sempre rispinte con i più grandi successi: il Re ebbe nel tempo stesso avviso, che il nemico si rinforzava considerabilmente a Comacchio sul Basso Po. Il Generale D’Ambrosio dovè ritirarsi a Malalbergo (30). Re Gioacchino è quindi obbligato a sgomberare Ferrara (31) nella notte tra il 12 e il 13 aprile. Giovedì 13 aprile l’offensiva napoletana si esaurisce e Murat - al Quartier Generale di Bologna - si rende conto che l’unica soluzione possibile è far retrocedere l’armata dietro la linea del Reno (32), cosa che avviene il 15 successivo. Si scrive da Bologna in data dei 14: corr.e che il Re di Napoli è stato terribilmente battuto a Modena, ove sono già entrati li Tedeschi, ed i Napoletani pensavano di far saltare il ponte Panaro per avere più tempo di fuggire. [...] Il Re di Napoli dispone le cose in Bologna per ritirarsi, e per non sagrificare di più quel paese, ma intanto comincia a mancare del più necessario. La mattina del 10 erano arrivati a Piacenza li 9 battaglioni di Truppe Austriache, le quali subito prendevano la direzione per Modena, e per Bologna nel mentre che da Magnavacca erano sbarcati 6.000 Tedeschi, che avevano ben battuto un corpo di Napoletani in retroguardia a Cesena, onde si può dire che l’Armata del Rè Giovacchino sia in tutte le parti più o meno inviluppata (33). L’arruolamento di volontari non diede i risultati sperati pochissimi, anche tra i veterani delle guerre napoleoniche, risposero alla chiamata.
I pochi volontari qui arruolati hanno lasciato Bologna, incamminandosi verso la Romagna. Verso sera è cominciata la ritirata dei Napoletani. Si sono uditi dei colpi di cannone al ponte di Reno fuori di porta San Felice, dove hanno finto di fare qualche resistenza per dar tempo alla divisione Lecchi, proveniente da Ferrara, di unirsi al grosso dell’armata. Circa alle ore 10 e mezza della sera è partito Gioacchino collo stato maggiore, dirigendosi alla Romagna. Nel seguito della notte i Napoletani hanno lasciato totalmente la città (34). Le truppe murattiane in ritirata su Bologna e su Ravenna distruggono i ponti per ritardare l’inseguimento delle truppe austriache: La truppa Napoletana [...] si ritirò al Reno, dove nel 15. venne scacciata. La Divisione Deambrogio di circa 8. mila con artiglieria, e bagaglio respinta da Occhiobello, prese la strada del Tedo (35), e per Medicina arrivò in Lugo alle due prima del mezzogiorno del 16. Aprile. Deambrogio (36), ed il Generale di Brigata Costa alloggiarono in casa Bolis ed il Generale di Brigata D’Acquino in casa Pignocchi. La truppa (37) abbivaccò in Piazza Vecchia, nella stradella del Poligaro, e fuori delle porte di Birozzo, e del Ghetto. Nel 17. incendiarono sul Senio, il ponte di Fusignano (38), e quello della Chiusa per andare a Bagnacavallo, come pure sul Santerno quello di S. Agata, e prima dello spuntar del sole del 18. i Napoletani abbandonarono Lugo (39). In una lettera da Fusignano il 29 aprile 1815 Luigi Santoni informa di quanto accaduto il marchese Ercole Calcagnini a Milano: Oggi attendo con impazienza riscontro da Vostra Eccellenza della mia delli 20. corr.e per sentire anche rispetto al passo del fiume, se crede che si faccia o no un ponticello: anzi in questo proposito siccome attesa la forte pioggia caduta si è fatta dell’acqua nel fiume, per cui si rende impossibile di potersi passare a guato, così mi sono venuti a dire che per comodo della popolazione io voglia far mettere una barchetta nel fiume [...] Mercoledì scorso siccome pioveva dirottam.te, così il sigr. Monti non intervenne al Congresso del Ponte di S. Agata, e neppure il Podestà delle Alfonsine, che vi era pure chiamato. D’ordine militare è stato ordinato al Comune di Lugo di riabilitar subbito li ponti di S. Agata, e della Chiusa (40). La truppa regolare, i pochi volontari – ferraresi e bolognesi - si incamminano alla volta della piazzaforte di Cesena (41). [...] tutto induce a credere che il Re non ha un momento da perdere per recarsi sopra Ronco. La prima divisione sarà questa sera sopra il Lamone, la seconda a Lugo, e la terza a Imola sul Santerno. La guardia reale ha dovuto cominciare il suo movimento sopra Rimini dal 15 al 16 (42). Il quartier generale murattiano, seguendo la via Emilia, si trasferisce a Imola domenica 16 aprile rimanendovi anche il successivo 17 (43), poi passa a Faenza, quindi a Forlì e a Cesena dove si concentra l’armata napoletana (44). Il 19 aprile «uno Squadrone di Cavalleria Ungarese Tedesca del Reggimento Frimont» entra in Lugo (45). Distaccamenti austriaci inseguono le truppe allo sbando impegnandole nel combattimento al Ronco il 21 aprile (46) «[...] il re fermò l’esercito dietro al Ronco accampando l’avanguardo a Forlimpopoli, il centro tra Bertinoro ed il Savio, la riserva in Cesena e Cesenatico» (47). La forte posizione di Cesena, difesa naturalmente dal Savio, viene comunque abbandonata nella notte tra il 22 e il 23, e re Gioacchino pone il nuovo quartier generale a Rimini ove rimane anche lunedì 24 (48). Nel frattempo, il 21 aprile 1815, da Rimini - dove tre settimane prima era stato emanato il proclama Agli italiani - un avviso (49) del commissario civile di S. M. il re Gioacchino Napoleone, Pellegrino Rossi, aveva definitivamente chiuso l’impresa militare nelle Romagne. Ma non era ancora finita: il 25, incalzato dalle colonne austriache, Murat è a Pesaro e l’armata ripiega il 26 su Fano e Senigallia, il 29 è ad Ancona da dove era partita la marcia napoletana il 19 marzo precedente. La ritirata continua nel disperato tentativo di raggiungere i confini del regno, ma il 3 maggio 1815 sulle alture di Tolentino (50) avviene l’inevitabile resa dei conti con la disfatta totale del re di Napoli. A Rimini il 30 marzo 1815 Gioacchino Murat aveva incitato il popolo a sostenere la causa dell’indipendenza italiana, ma solo il 10 aprile ordinava che tutti portassero la coccarda italiana (51), nessun tricolore, peraltro, sventolò alla testa delle truppe napoletane. Forse sarebbe stato un valore aggiunto.